La scorsa settimana il Dipartimento per il Commercio Usa ha innalzato il livello di restrizioni all’export verso la Cina relativo ai semiconduttori per impieghi nel settore dell’intelligenza artificiale. In realtà il primo atto di quella che, da molti analisti, è stata ribattezzata “la guerra dei microchip” tra Stati uniti e Repubblica popolare cinese è avvenuto giusto un anno fa. Il 7 ottobre del 2022, quando l’amministrazione Biden ha lanciato una vasta offensiva commerciale per contrastare l’ascesa di Pechino nel settore delle nuove tecnologie. In quell’occasione infatti il divieto statunitense all’esportazione verso la Repubblica popolare riguardò i microchip ad elevate prestazioni, nonché i brevetti ed i macchinari per la loro realizzazione.
Ne è poi seguita una certa pressione statunitense su altre nazioni alleate, affinché non cedessero a Pechino le tecnologie necessarie per realizzare in casa i microchip di ultima generazione. A tal riguardo furono stipulati dagli USA accordi bilaterali con Olanda e Giappone per introdurre analoghe restrizioni nelle loro esportazioni tecnologiche verso la Cina.
Quest’ultima mossa va, dunque, inquadrata nell’ambito di una più completa strategia Usa che, da un lato mira a rallentare i progressi cinesi nel settore dell’intelligenza artificiale e, dall’altro, a diminuire la dipendenza dell’Occidente dalle supply chain cinesi. Va aggiunto, infatti, che Pechino detiene una quota dominante, a livello globale, nell’estrazione e lavorazione delle materie prime necessarie alla fabbricazione dei microchip. Frattanto abbiamo assistito a un vistoso calo nella Borsa statunitense per le azioni legate all’industria dei semiconduttori.
La situazione
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Il quadro è quindi piuttosto complesso perché, se da un lato la Cina può fare la voce grossa a valle della supply chain relativa ai semiconduttori, manca invece di quelle tecnologie di punta necessarie alla realizzazione dei microchip ad elevate prestazioni. Il contrario, in forma speculare, avviene in Occidente, anche se ultimamente vi è stato un aumento delle iniziative per aumentare l’estrazione delle c.d. terre rare, soprattutto in Australia. Il tema delle terre rare è strategico ed è al centro della reazione messa in atto dalla Cina che, nel luglio di quest’anno, ha risposto alle azioni restrittive USA ponendo un bando all’esportazione di due materiali critici quali il gallio ed il germanio. Questi minerali, di cui Pechino detiene, un elevatissima quota nell’ estrazione e nella raffinazione, sono indispensabili per il quantum computing e per realizzare le componenti tecnologiche impiegate nella transizione ecologica.
Vistoso calo nella Borsa statunitense per le azioni legate all’industria dei semiconduttori
Tornando alle restrizioni Usa relative all’export di semiconduttori, si può notare come gli ultimi provvedimenti del Dipartimento per il Commercio Usa abbiano colpito soprattutto il colosso dei chip Nvidia. Alla corporation statunitense è stato infatti vietato di esportare in Cina anche i processori H800 ed A800, in precedenza esclusi dal bando. Si era infatti visto che Pechino, aveva trovato il modo di adattare questi ultimi, seppure più lenti, ai propri dispositivi di intelligenza artificiale, non potendo disporre dei più avanzati chip della classe H100. A seguito del provvedimento restrittivo USA ci si attende che vengano colpite anche le esportazioni effettuate da altre aziende tecnologiche USA, quali Intel e Amd. Il contraccolpo in Borsa, dunque, è stato avvertito piuttosto nettamente, determinando un calo nelle quotazioni azionarie di diverse aziende del comparto tecnologico.
I timori
Uno dei timori più ricorrenti, anche se poco palesato, dell’amministrazione Biden riguarda, inoltre, il c.d. dual use, in riferimento ai dispositivi di intelligenza artificiale che incorporano chip di ultima generazione. Tali dispositivi, infatti, nati ufficialmente per impieghi civili, potrebbero essere rapidamente convertiti ad usi in campo militare. E’ anche questa la ragione per la quale si è scatenata, sin dall’amministrazione Obama, la guerra commerciale dei semiconduttori tra gli USA e la Cina, proseguita poi sotto la Presidenza di Donald Trump ed ora salita di livello durante l’amministrazione Biden.
Più in generale, la competizione commerciale e tecnologica in corso va inoltre inquadrata nell’ambito delle strategie, messe in atto dalle grandi potenze, per esercitare il massimo controllo possibile sulle supply chain strategiche che comprendono, non soltanto i semiconduttori, ma anche le già ricordate materie prime critiche, i brevetti e gli standard globali che governano i diversi comparti industriali del pianeta, come pure gli ambiti di ricerca e sviluppo.
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