C’è una nuova recessione alle porte. Il quadro politico ed economico sta rendendo evidente la vulnerabilità di Paesi portando ad una nuova recessione le aziende che dipendono fortemente da un numero limitato di partner commerciali. Pertanto, le catene di approvvigionamento globali sono destinate ad un’importante ristrutturazione.
Già dopo l’imposizione dei dazi durante la guerra commerciale cino-americana molte aziende avevano iniziato a diversificare le loro catene di approvvigionamento dalla Cina, ma ora il processo subirà una forte accelerazione. La Cina contribuisce al 20% del PIL mondiale e gran parte della crescita proviene dagli investimenti esteri. Tali investimenti sono stati destinati prevalentemente al settore manifatturiero. Molti di questi sono ora in brusca inversione poiché le aziende stanno guardando ai rischi delle loro catene di approvvigionamento, in particolare quelli di aree strategiche come la tecnologia e la farmaceutica.
Cosa teme il mondo?
Indice dei contenuti
Di fronte al rapido avvicinarsi di una nuova recessione alle porte, il mondo post coronavirus sta temendo gli effetti del blocco della catena di approvvigionamento. E gli investitori hanno iniziato a vendere in massa i titoli azionari, innescando una nuova crisi finanziaria a 12 anni di distanza dalla crisi del 2008.
Cosa complica il quadro?
A complicare ulteriormente la situazione contribuisce il crollo dei prezzi del greggio. Determinante è stata la contrazione della domanda che è seguita al blocco degli spostamenti, imposto in vari Paesi per contenere la diffusione dell’epidemia. Il mercato, pertanto, che già soffriva a causa dell’eccesso di produzione e della progressiva riduzione della domanda, è stato messo ulteriormente sotto pressione dal coronavirus.
Come se questo non bastasse, Arabia Saudita e Russia hanno ingaggiato una guerra dei prezzi iniziando ad aumentare la produzione. La guerra dei prezzi sembra, in realtà, soltanto apparente. Infatti, entrambi i Paesi possono sostenere quotazioni veramente basse, inferiori ai $20 il barile. Ad essere danneggiati sono, invece, i produttori statunitensi, i quali non possono permettersi prezzi inferiori ai $50 il barile.
La guerra dei prezzi, pertanto, sembra mirare a scatenare un’ondata di fallimenti e di tagli agli investimenti negli Stati Uniti, con un impatto evidente sulla produzione di scisto. Tutto quindi continua a portare a una nuova recessione alle porte.
Approfondimento