«È una fotografia di un Paese sofferente, di gente incastrata. Nessuno combatte per un grande sogno e si lavora proprio per mantenere uno status quo un po’ piccolo e doloroso». Uno dei significati più profondi di “Tapirulàn”, il film drammatico per la regia di Claudia Gerini in uscita giovedì 5 maggio. Tra gli attori, uno straordinario Stefano Pesce interpreta il ruolo di Lorenzo, personaggio chiave della pellicola insieme ad Emma (Claudia Gerini). Stefano Pesce ci porta per mano all’interno di una storia che affonda nell’intimo di ognuno, nei nodi irrisolti, coperti e nascosti che però non ci danno pace.
Qual è la trama di Tapirulàn e Lei che ruolo interpreta?
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«La trama è la storia di una donna che lavora come counselor online. Ha diversi clienti che non a caso non definisce pazienti, perché quest’ultimi si riferiscono agli psicologi. E l’approccio del counselor è differente. Uno dei pazienti è un uomo sulla cinquantina, Lorenzo, che interpreto io. Lorenzo ha perso la figlia giovanissima e si sente in colpa per il modo in cui è morta».
Lorenzo è un cliente tra gli altri?
«In qualche modo sì, anche se poi ci sono risvolti interessanti. Lorenzo porta Emma alla riflessione. Infatti, lei corre molto sul tappeto probabilmente per dimenticare o non affrontare un dramma personale che si porta dentro e la spinge ad occuparsi degli altri».
“Tapirulàn”, la sofferenza di un passato tormentato e il bisogno dell’altro nel faccia a faccia con l’attore Stefano Pesce. Quindi è anche la storia di un incontro?
«Sì, è un incontro che la fa uscire dalle protezioni e obbliga a riflettere su un dramma insoluto. Lorenzo riesce in questo perché è molto lucido verso sé stesso. Sostanzialmente dice che non si può scappare da qualcosa di insoluto se ce l’hai dentro. Così, paradossalmente, Emma si trova a fare i conti con il suo passato. Il resto è tutto nello sviluppo avvincente del film».
Claudia Gerini come regista: che esperienza è stata?
«Non avevo mai lavorato con lei. In “Tapirulàn”, la sofferenza di un passato tormentato troviamo Gerini regista e attrice. Recitare è stato un po’ complicato, perché i due personaggi non s’incontrano mai. Come regista ha saputo costruire un buon terreno anche se poco scenico, perché siamo tutti isolati e lei ha saputo creare un buon ambiente in cui riuscivamo a recitare con serenità».
Qual è il significato del film per Lei?
«Il messaggio più importante secondo me è che le problematiche interne non si risolvono con strumenti esterni. Non è possibile, non si può scappare da sé stessi. Prima o poi devi fare i conti con il tuo problema di base e imparare a rispettare te stesso. Alla fine, tutti i protagonisti sono legati da un tema comune, cioè l’accettazione di quel che si è, nel bene e nel male».
“Tapirulàn”, la sofferenza di un passato tormentato… Altri messaggi, vista la densità delle parti in scena?
«Il secondo messaggio è che siamo parte di una società isolata e frammentata. È una fotografia di un Paese sofferente, di gente incastrata. Nessuno combatte per un grande sogno e si lavora proprio per mantenere uno status quo un po’ piccolo e doloroso. Nel film non ci sono mascherine (riferimento al Covid, ndr) ma ognuno è in casa propria in un proprio ambiente. Viene fuori il limite dei rapporti e delle relazioni. E, da qui, l’esigenza di rivolgersi ad un counselor».
Lei ha interpretato tanti ruoli di grande successo, cosa Le è piaciuto di più in quello impersonato in Tapirulàn?
«L’aspetto sicuramente più forte è la parte che mi ha permesso di raccontare al pubblico un dolore immenso che un uomo non sa dove collocare e riguarda la perdita di un figlio. Ci sono un paio di scene in cui sono molto addolorato e viene fuori quel dolore intenso per la morte di un figlio e non ha pari nella natura umana».
Una frase o una parte del film che ci regala in anteprima e che Le è piaciuta particolarmente.
«Sì, quando Lorenzo le chiede: “ma da cosa scappi?”»
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