Basso costo di gestione, rischi limitati alle cifre caricate e facilità di utilizzo. Sono questi i fattori che hanno determinato un autentico boom di carte prepagate. La Postepay di Poste Italiane per esempio, anche se ormai ogni banca ha la sua carta prepagata. Le spese di tenuta sono nettamente inferiori alle altre carte, soprattutto perché tutte sono collegate ai conti correnti. E questo ha spinto molti ad aprire carte di questo genere, soprattutto per assecondare i provvedimenti del governo sull’utilizzo di moneta elettronica. Ciò non vuol dire che utilizzare queste carte netta al riparo da ricchi di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Subiranno un accertamento dell’Agenzia delle Entrate quelli che utilizzano le carte prepagate per inviare o ricevere denaro e non prestano attenzione a cosa fanno
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Ormai ci sono diversi tipi di carte prepagate, e quasi tutte munite di IBAN. Con plafond (cifra massima accreditabile) anche elevati, sono diventate pure una alternativa ai conti correnti. Ricevere soldi sulle carte ormai è largamente diffuso. Anche vendendo un bene in rete le ricariche sulle prepagate sono lo strumento principale. Le carte sono il principale metodo di pagamento usato anche per gli acquisti telematici. Ma l’occhio lungo dell’Agenzia delle Entrate guarda anche a questo strumenti e forse con maggiore precisione. La carta prepagata è un tipico strumento di pagamento tracciabile. La tracciabilità altro non è che il segno visibile all’Agenzia delle Entrate di un determinato passaggi di soldi. Le norme sulle limitazioni all’utilizzo del contante non sono prive di controindicazioni. E vanno oltre quelli che riguardano i prelievi bancomat o i bonifici che possono essere pericolosi.
Anche le carte finiscono nelle banche dati dei Fisco
Per questo i controlli dell’Agenzia delle Entrate coinvolgono anche le carte prepagate. Infatti una delle banche dati più utilizzate è l’archivio dei rapporti finanziari, meglio conosciuto come “Anagrafe dei conti correnti”. In questa banca dati tutti gli istituti di credito devono far confluire i dati di ogni movimento di danaro di ogni cliente. E come accade sui conti correnti, anche un versamento strano, che può fare scattare l’allerta del Fisco, può causare un accertamento. Anche i versamenti effettuati, i bonifici ricevuti o le ricariche, attive e passive su una carta, possono prefigurare il sospetto di evasione fiscale o riciclaggio di denaro.
E dal momento che i controlli del Fisco possono tornare indietro fino a 5 anni, le ricevute delle transazioni non vanno buttate via. Serviranno in effetti per giustificare, in caso di accertamento, la provenienza di un accredito o la motivazione di un pagamento. Infatti, come sui conti correnti, non è il fisco a dover dimostrare che si tratta di evasione fiscale, ma il contribuente a dover dimostrare il contrario. Per esempio, se nei 5 anni precedenti è stato effettuato un accredito ingente per arretrati di stipendio dopo un rinnovo contrattuale, la ricevuta di questo accredito è da conservare. Subiranno un accertamento dell’Agenzia delle Entrate i contribuenti che muovono spesso i soldi sulle carte e non riescono a giustificare la provenienza di un pagamento anche per il semplice fatto di non avere una ricevuta.
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