Le pensioni italiane spettano anche ai lavoratori stranieri sia comunitari che extracomunitari. La normativa vigente in materia è abbastanza chiara nel permettere a tutti di godere del trattamento previdenziale dopo il lavoro effettuato in territorio italiano. Ma se per i comunitari più o meno le regole sono le medesime di quelle italiane, qualcosa di diverso c’è per i lavoratori extracomunitari. Soprattutto perché ci sono differenze in base alla data in cui questi stranieri hanno iniziato a versare i contributi in Italia.
Stranieri in pensione a 67 anni con almeno 5 o 20 anni di contributi
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In base al diritto internazionale, tutti i cittadini stranieri, comunitari ed extracomunitari, in materia previdenziale hanno pari diritti e pari trattamenti. Tradotto in termini pratici, la pensione spetta anche agli stranieri. E dal momento che si tratta di una prestazione collegata ai contributi versati, questa prestazione può essere fruita anche una volta rientrati nel proprio Paese natio. Diverso il caso delle prestazioni assistenziali, che non possono essere esportate dal momento che tra i requisiti previsti ci sono quelli della residenza effettiva in territorio nazionale.
La pensione per gli stranieri e le regole da rispettare
Tornare in Patria e godere della pensione italiana dopo il lavoro svolto nella Penisola è un diritto di tutti i lavoratori. Naturalmente bisogna rispettare determinate condizioni e completare determinati requisiti. Per esempio bisogna compiere 67 anni (66 con adeguamento alla speranza di vita) per poter ottenere la pensione italiana dopo il rimpatrio. Un lavoratore extracomunitario al compimento di 67 anni di età può chiedere la pensione per i periodi contributivi versati in Italia. Il lavoro svolto nella Penisola però non deve essere stagionale perché questo è un primo vincolo imposto al diritto di godere del trattamento italiano. È la Legge numero 189 del 2002 a imporre questo vincolo ed a stabilire le regole che gli extracomunitari devono seguire una volta rimpatriati per poter godere del trattamento pensionistico italiano.
I contributi versati non vengono mai rimborsati
Stranieri in pensione a 67 anni, ma con le opportune differenze in base alla data in cui hanno effettuato il lavoro in Italia. Infatti molto cambia tra sistema retributivo e sistema contributivo. La data fondamentale è il primo gennaio 1996 cioè quella che segna l’ingresso della riforma Dini nel sistema e quindi del sistema contributivo di calcolo delle pensioni. Per gli stranieri che hanno la prima assunzione in Italia successiva al 31 dicembre 1995 la pensione di vecchiaia può essere chiesta anche senza aver completato i 20 anni di contributi minimi richiesti. Ma solo per il rimpatrio. In assenza di rimpatrio servono i medesimi requisiti degli italiani, cioè 20 anni di contributi e una pensione pari a 2,8 volte l’assegno sociale.
In alternativa, con 5 anni di contributi, pensione di vecchiaia a 71 anni. Limiti che come detto non si applicano a chi ha iniziato la carriera dopo il 1995. Quanto prevedeva la famosa Legge Bossi-Fini riguardo al rimborso dei contributi versati dagli stranieri che non raggiungevano il diritto alla pensione italiana è venuto meno. In pratica, o l’interessato riesce a centrare la pensione o perde i contributi versati. A meno che non si provenga da Paesi che hanno stretto convenzioni particolari con l’Italia circa l’utilizzo in cumulo della contribuzione versata tra Stati diversi.
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