Duecentomila si sono dimessi e circa 130mila stagionali mancano all’appello. Così l’industria della ristorazione e del turismo di lusso in Italia e soprattutto sulla Costa è in crisi. «C’è chi apre solo a pranzo e chi solo a cena». Molti non riescono a coprire l’intera giornata. I motivi di tale incresciosa e paradossale situazione nelle parole di Aldo Cursano, Vicepresidente Vicario di FIPE-Confcommercio. L’appello al Governo affinché declini le forme di welfare a premialità per quanti lavorano.
È davvero come si dice? Ristoranti e alberghi non riescono a trovare personale?
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«Si, sembra paradossale ma è proprio così. E i numeri sono considerevoli se pensa che circa in circa 200.000 si sono dimessi e ad oggi mancano almeno 130.000 stagionali».
Qual è il motivo?
«Due anni di pandemia hanno modificato il modo con cui le persone guardano al tempo libero e allo stare insieme. C’è una diversa valutazione della risorsa temporale. Chi opera nell’accoglienza, nel turismo e nella ristorazione si concentra in periodi estivi, vacanzieri e nei fine settimana. Lavoriamo quando gli altri si divertono. L’aspetto dell’insicurezza, il futuro opaco porta le persone a preferire altro. Le aperture e le chiusure a intermittenza, poi la cassa integrazione hanno messo a dura prova la tenuta delle famiglie».
Siamo pronti alla ristorazione self-service? Il settore in crisi per carenza di personale, il confronto con FIPE-Confcommercio. Qualcuno azzarda sia anche «colpa» del reddito di cittadinanza, è così?
«Si questo è un elemento importante. Per lavorare occorre rinunciare al reddito di cittadinanza e molti non vogliono farlo perché di fronte all’incertezza del futuro, preferiscono non lavorare. Cioè non intraprendere percorsi lavorativi ma tenersi il reddito e basta perché non sanno cosa accadrà tra tre-quattro mesi».
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«Noi stiamo spingendo per premiare chi sceglie di lavorare. Cioè invitiamo il Governo a declinare queste forme di assistenza con delle premialità per chi lavora anche perché la richiesta c’è. La gente esce, anche se ha minore capacità di spesa, va in giro, pranza fuori. Ha voglia di godere il tempo libero e non avere il personale impone scelte spiacevoli».
Tipo?
«Guardi, molti fanno un solo turno. Ci sono ristoranti che aprono solo a pranzo o solo a cena. E, mi creda, ce ne sono diversi perché manca chi serve ai tavoli. Consideri che l’accoglienza, la relazione con il cliente è parte della nostra tradizione recettiva. È una componente importante che viene a mancare e ad intaccare l’offerta turistica italiana. Consideri che molti stanno installando macchinette automatiche. E molte attività sulla Costa non aprono ancora perché non hanno personale». Ma siamo pronti alla ristorazione self – service?
C’è chi dice che molti rinunciano perché i camerieri sono malpagati e costretti a turni massacranti, è davvero così?
«Non tutti gli operatori sono seri certamente e tendono ad essere scorretti. Ma questo è un elemento che va circoscritto. Le aziende strutturate offrono lavoro serio e adeguatamente retribuito senza un uso improprio della forza lavoro. È chiaro che la stagionalità è la stagionalità, c’è poco da fare. Di fatto il periodo che va da aprile-maggio fino a settembre in Italia, per il clima che abbiamo, è quello in cui si concentra il flusso turistico. Ci possiamo far poco se l’estate dura 4 mesi, è un fatto climatico. Rispetto alla paga bisognerebbe non generalizzare.
Chi non opera correttamente va individuato e penalizzato. Ma chi retribuisce adeguatamente non c’entra nulla. Consideri anche che il costo del lavoro è molto alto e un dipendente costa ad un’azienda sui 4.000 euro al mese e ne percepisce solo 1.400 circa. Questo è un altro problema. Ma credo non sia questo il fattore discriminante. Le ripeto, c’è la volontà nuova rispetto al passato di non lavorare. Soprattutto nei weekend e in estate. Il Governo dovrebbe incentivare mediante premialità ai lavoratori altrimenti i clienti dovranno servirsi da soli». Ed è da vedere se siamo pronti alla ristorazione self – service.
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