Un’intervista intrisa di agghiacciante realtà. Un solco silenzioso e profondo nelle viscere delle nostre città, dei quartieri popolari, dei centri storici dove possono trovarsi a bivaccare i nostri figli.
“Avamposti – Nucleo operativo” è la docuserie di Claudio Camarca, disponibile dapprima in streaming su Discovery+ (14 gennaio scorso) e successivamente su Nove, canale 9 del Digitale Terrestre, su Sky canale 149 e tivùsat canale 9. Camarca è un animo sensibile e raffinato che racconta con dovizia di particolari quel che accade senza alcuna mediazione. Una fotografia cruda che ognuno ha il dovere di guardare per riflettere. Di riprendere nel tempo per porsi domande e cercare risposte concrete e operose. Le parole di Camarca affondano nella coscienza di ognuno, sollecita punti interrogativi e mette in discussione la maschera personale dell’opulenza che ci rende ciechi…. abituati alla cecità.
Perché “avamposti”? ci spiega il “mood” (se così possiamo dire) della docuserie?
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«Avamposti richiama un linguaggio militare che si attaglia ai territori che andiamo a raccontare. Prefigura la linea di demarcazione, alle volte sottile e spesso intangibile, tra lo Stato di Diritto e le violente, prevaricanti leggi del caos. Ancora “avamposti” sono quei Comandi, quelle Stazioni infitte nelle zone d’ombra della società. Spazi devastati da un profondo degrado costruito dalle dimenticanze della pubblica amministrazione, poveri di lavoro, spogliati dalla dignità propria della persona umana, infestati da alcol e droga e violenza familiare. “Avamposti” non necessariamente incastonati nel tessuto disadorno delle periferie urbane, ma giunti sul pianerottolo di casa nostra, nei vicoli del centro storico, nell’economia sfavillante di metropoli forzatamente ultramoderne, cresciute senza adeguata base etica».
A Bologna emerge lo spaccio di varie tipologie di droghe con un’utenza di giovani universitari. Cambia qualcosa dopo gli arresti? E per quanto tempo prima non si riattivi tutto?
«Bologna è stata una rivelazione. Girando il Mondo, mai avevo toccato con mano la proliferazione di piazze di spaccio a cielo aperto cresciute senza soluzione di continuità.
Centinaia di ragazzi, studenti universitari la gran parte fuori sede, intenti a sniffare cocaina, inalare crack, ingoiare pillole, totalmente incuranti di chi potesse vederli. Indifferenti alle nostre macchine da presa, al passaggio delle auto colorate delle FF. OO. Un centro storico bellissimo oramai prigioniero di malamovida dal tramonto all’alba, catturato da clan nigeriani e ghanesi al soldo della ‘ndrangheta calabrese’. Camminavo all’interno di una nube di hascisc e marijuana, osservando gli sguardi spenti dei nostri figli».
Vedremo (in coda) che «Siamo noi a volere i Matteo Messina Denaro». Documentare contesti urbani difficili, quale scopo ha?
«Avamposti nasce per offrire al cittadino la conoscenza diretta dell’opera quotidiana dei Carabinieri. Sono i militari, e da questa Stagione i Magistrati, a raccontare quanto vediamo, senza l’intermediazione di un giornalista, mettendo in comunicazione “diretta” una Divisa con lo spettatore. Lo scopo è portare per mano la società civile all’interno di spazi apparentemente invisibili, ma che altro non sono se non le scorie morali pagate come contributo al forzato benessere».
Se volessimo individuare dei responsabili, oltre chi compie delle scelte, chi dovremmo inserire?
«Noi adulti siamo sul banco degli imputati. Con la nostra disinvoltura etica, la mancanza di responsabilità personale, l’ignavia che ci fa voltare le spalle, l’egocentrismo che ci induce a comportamenti individuali infantili. La mollezza caratteriale capace di trovare sempre una giustificazione fuori da noi, esterna al nostro agire. Tutto questo investe ogni attore della società: scuola, politica, pubblica amministrazione, parti sociali, il mondo delle professioni, l’informazione.
Tutti gangli inestricabili l’uno dall’altro, incancreniti da una corrività personale sopra espressa». Al punto da portare Camarca ad affermare che «siamo noi a volere i Matteo Messina Denaro» con il nostro silenzio-assenzo, il nostro non – agire per non turbare lo scorrere di quel fiume in piena delle nostre vite quando sotto invece muove detriti.
Le telecamere ci mostrano anche il “lato” (viso, azione e reazione) delle vittime?
«Mai inquadriamo un civile. Mai inquadriamo un criminale. Nè mai inquadriamo una vittima. Per rispetto della persona. E perché non serve, non apporta nulla alle storie, svilirebbe il documento in una sorta di gossip televisivo a cui non mi presto»
La docuserie arriva in un momento particolare, a ridosso dell’arresto di Messina Denaro. Ci sono ancora margini per l’intervento dello Stato sulla criminalità organizzata secondo Lei? Forse da anni non nutrivamo più speranze….
«La sconfitta del cancro mafioso dipende da noi cittadini. Ogni spinello compra un proiettile. Ogni cliente del mercato delle sostanze stupefacenti, è in pratica correo dei clan. Di fatto, con la sua mollezza caratteriale, alimenta quel clan, arricchisce quella ‘ndrina’, sovvenziona i tanti padrini sparsi nel Paese. Sono i clienti della droga, della prostituzione, delle scommesse clandestine degli affari illeciti, l’anello forte della catena criminale. Sono i clienti a decidere la vita o la morte di una famiglia mafiosa. Siamo noi a volere i Matteo Messina Denaro. Il nostro comportamento è la loro ragione d’essere»