Al raggiungimento del 67° anno di età scatta, in base alle attuali disposizioni di Legge, l’età utile alla pensione di vecchiaia. In questa fase della vita, se il lavoratore ha accumulato almeno 20 anni di contributi, può collocarsi in quiescenza. In alcuni casi, è sufficiente anche montante contributivo inferiore. Tuttavia, non è sempre detto che il cittadino voglia lasciare il mondo del lavoro. Al contrario, egli potrebbe nutrire il desiderio di proseguire a prestare servizio laddove si palesino le condizioni. In questi casi, si può continuare a lavorare dopo i 67 anni per avere più contributi INPS? Nella presente guida vedremo quali sono le differenze tra il settore privato e quello pubblico in tale ambito. Inoltre spiegheremo che cos’è la pensione forzata e quando scatta per il lavoratore.
Quali soluzioni per lavorare dopo i 67 anni
Indice dei contenuti
Lavorare oltre i 67 anni può aprire a due differenti scenari possibili: scegliere di avviare una propria attività dopo il pensionamento, oppure capire se sia possibile restare nella propria azienda oltre i 67 anni. Nel primo caso, si potrebbe sentire la necessità di aprire una partita IVA ad esempio. Allora, il pensionato che ha in animo un progetto simile, deve fare i conti con le eventuali riduzioni o limitazioni che si potrebbero applicare. Una guida utile a capire quali tipologie di pensione ammettono o no l’avvio di una nuova attività è consultabile qui.
Nel secondo caso, invece, si potrebbe preferire di restare ancora qualche anno nella propria azienda. Ebbene, si può continuare a lavorare dopo i 67 anni per avere più contributi INPS? La risposta è affermativa in alcuni casi ed in altri invece no. Le prime differenze si pongono tra i lavoratori del comparto pubblico e quelli del privato. Inoltre, si deve tener conto del possibile licenziamento forzato che, al raggiungimento di una certa età, è applicabile.
Come funziona per i lavoratori del settore privato
Si può continuare a lavorare dopo i 67 anni per avere più contributi INPS nel settore privato? Nella generalità dei casi,per i lavoratori del settore privato il licenziamento forzato scatta al raggiungimento del 71° anno di età. In questi casi, il lavoratore che intenda proseguire nel prestare il proprio servizio può farlo solo se esiste un accordo con il proprio datore. Resta pur tuttavia fermo il diritto del datore di imporre il licenziamento al sopraggiungere dei requisiti per la pensione di vecchiaia. Differente sorte spetta ai lavoratori pubblici.
Quali regole si applicano ai dipendenti pubblici
Cosa accade ai dipendenti pubblici? In questa sfera, generalmente si tende a favorire il collocamento in quiescenza. Questo significa, raggiunti i requisiti per la pensione di vecchiaia, scatta quasi automaticamente la cessazione del servizio. Alcune eccezioni si offrono laddove il lavoratore non abbia perfezionato il requisito contributivo minimo pari a 20 anni. In una circostanza simile si potrebbe richiedere un trattenimento in servizio fino ad un massimo di 71 anni da analizzare in base al caso. Per quanto riguarda le pubbliche amministrazioni, infatti, vale la regola del cosiddetto “pensionamento d’ufficio”.
Si tratta della la facoltà da parte delle amministrazioni di avviare il personale al pensionamento una volta raggiunti i requisiti. Nella generalità dei casi tale obbligo d’ufficio può subentrare a partire dai 65 anni del lavoratore laddove questi abbia maturato un qualsiasi diritto alla pensione. Ciò accade in linea a quanto stabilisce il D.L. n. 90/2014. Fa eccezione solo la formula pensionistica di Quota 100 che si esclude da tale soluzione. Diversamente, il rapporto di lavoro prosegue fino aa quando non si soddisfano i requisiti necessari per la pensione. Ecco in quali casi e a quali condizioni si può continuare a lavorare dopo i 67 anni per avere più contributi INPS.