Quando si stipula un contratto di lavoro, il capo e il dipendente assumono degli obblighi. Questi derivano tanto dal contratto quanto dalla legge. Tra gli obblighi più importanti del capo c’è quello di tutelare la salute dei dipendenti. Questo non vuol dire solo creare un ambiente di lavoro sicuro da malattie e infortuni. Infatti, ci sono specifiche ipotesi di reato, lesioni e omicidio colposo, che riguardano la materia del lavoro per omissioni in ambito della sicurezza. Assicurare un ambiente di lavoro sicuro vuol dire anche evitare danni morali ai propri dipendenti da parte del datore di lavoro.
Classico il caso dell’attività di mobbing ai danni di un dipendente da parte dei colleghi oppure del capo. Le sanzioni per questo tipo di attività sono molto pesanti, tanto per i colpevoli quanto per il capo. Infatti, quest’ultimo, anche se non compie in prima persona l’attività dannosa di mobbing, ha un obbligo di garanzia. Per legge deve, cioè, mettere al riparo i propri dipendenti da questo tipo di condotte anche se poste in essere da altri.
Come ci si può comportare nel caso in cui non ci dovessero pagare
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La giurisprudenza, però, questa volta ha analizzato il caso del comportamento di un dipendente, con la sentenza 51678 del 2017. La Cassazione ha spiegato che se il capo non paga lo stipendio il dipendente, per ottenere quanto gli spetta, può ricorrere a metodi non convenzionali. Con più precisione, se tiene questo tipo di comportamento non sarà punibile legalmente.
Il dipendente in questione, non ricevendo lo stipendio, decideva di tempestare il proprio capo di messaggi telefonici per diverso tempo. Una vera e propria persecuzione, allo scopo di ottenere il proprio salario. Il capo decideva di denunciare il proprio dipendente per esercizio arbitrario delle proprie ragioni, comportamento punito dal codice penale.
Se il capo non paga lo stipendio ecco cosa si può fare
La Cassazione decideva di dare ragione al dipendente, assolvendolo dal reato in questione. Infatti, secondo i giudici il comportamento era strettamente legato ad un’omissione degli obblighi di legge del datore di lavoro. Oltretutto, il comportamento del dipendente non aveva assunto toni violenti o minacciosi. Dunque, i giudici hanno ritenuto insussistente il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, giustificando la tempesta di messaggi.
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