È sicuramente: 1) la domanda più antipatica da fare a chi ne possiede uno: quanti e quali costi ha un fondo comune d’investimento? 2) La scoperta più sorprendente che milioni di risparmiatori han dovuto fare …a spese loro. Nel senso doppio del termine. Chi in vita sua ne ha comprato uno di solito ha ragionato sulla prospettiva del “quanto realizzerò”, mai sul “quanto spenderò”.
La distinzione ha importanza? Eccome! Assolutamente sì. Perché il “quanto realizzo” dipende dalla bravura del gestore e dall’andamento del/dei mercati di riferimento dello strumento. Entrambi aleatori. I costi invece appartengono alla sfera della certezza e un risparmio su essi equivale a un guadagno sicuro (come qui ribadito).
Un elenco dei vari costi
Indice dei contenuti
Possiamo sintetizzare dicendo che la famiglia è abbastanza ricca, corposa e nutrita. E presenta il classico “di tutto di più”. Tra le voci più ricorrenti troviamo:
commissioni di gestione | commissioni di sottoscrizione |
le commissioni di negoziazione | la commissione di performance |
le commissioni di switch | la commissione di uscita |
commissioni di copertura | commissioni di distribuzione |
spese di revisione | Spese legali e giudiziarie |
Compenso per la banca depositaria | Spese per la pubblicazione del valore della quota |
Ovviamente l’elenco di cui sopra non va inteso tutto applicato per ogni singolo prodotto. Nel senso che ogni Sgr (Società Gestione del Risparmio) ha le sue politiche interne e segue esse fondamentalmente. A volte ne applica alcuni, altre volte altri, a seconda delle sue linee operative interne.
Il novero è comunque ingente
Ciò che getta sconforto è comunque il novero enorme dei costi che viene applicato. Ci si lamenta del Fisco che tassa l’inverosimile, ma …qui che c’è di meno? Un esempio per tutti, la commissione di performance. Qui l’investitore è dibattuto se ridere o piangere. Per almeno tre ragioni:
- da un lato, esse costituiscono un incentivo per il gestore a fare meglio del benchmark di riferimento. O se registra un guadagno in termini assoluti (dipende da fondo a fondo);
- spesso i fondi domiciliati all’estero (le cui regole operative sono “più soft”) applicano tali commissioni su cadenze temporali infrannuali, ad esempio sul trimestre. Risultato? Che non è raro incontrare clienti che pagano tale costo anche quando a fine anno magari il fondo è risultato in perdita.
- in linea generale è giusto dover ulteriormente pagare il gestore se fa bene il suo lavoro? Come se tutti gli altri costi non bastassero già?
I costi? I primi guadagni persi
Ciò più stupisce non attiene strettamente il prodotto in sé e per sé, che è legittimo e lecito nelle aspirazioni di partenza: fare meglio del benchmark. Fa invece riflettere quella sovrastruttura di costi che lascia – a usare un eufemismo – perplessi. E gridare al cliente quanti e quali costi ha un fondo comune d’investimento? Perché poi sono essi che su un arco temporale medio-lungo fanno la differenza, anche di tante e tante migliaia di euro. A loro vantaggio, ovviamente .