La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 18419 dell’08/06/2022, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di tassazione del reddito di locazione. Nella specie, l’Agenzia delle Entrate contestava alla contribuente di non aver dichiarato il reddito da locazione di un immobile. La Commissione Tributaria Regionale riteneva l’accertamento legittimo. Rilevavano i giudici che il fatto che il contratto di locazione fosse stato stato risolto del conduttore non poteva dirsi dimostrato dalla lettera di recesso. E neppure era idonea la dichiarazione sostitutiva di atto notorio. Tali documenti, infatti, secondo la Commissione Tributaria, non erano opponibili all’Amministrazione finanziaria, in quanto privi di data certa. La contribuente, peraltro, non aveva neppure prodotto copia della dichiarazione, da presentarsi, in caso di risoluzione anticipata di un contratto di locazione, all’ufficio del registro. Seguiva proposto ricorso in cassazione. Evidenziava la contribuente che il giudice aveva errato nel non dare credito alla documentazione prodotta.
Rilevanza della dichiarazione di recesso
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La ricorrente ribadiva la rilevanza della dichiarazione di recesso ai fini della prova della cessazione della locazione. La Commissione Tributaria Regionale aveva inoltre omesso di valutare le risultanze degli estratti del conto corrente. E da questi risultava che, nel periodo in esame, non vi erano stati accrediti di canoni locativi.
La decisione
La contribuente richiamava anche la sentenza n. 362 del 2000 della Corte Costituzionale, contestando le modalità di tassazione del reddito fondiario di un immobile locato. Modalità errate, secondo la ricorrente, in quanto assumevano come base imponibile l’importo del canone convenuto in contratto, anziché il reddito medio desunto dalla rendita catastale. A causa della morosità del conduttore, tale canone non era stato infatti effettivamente percepito. Secondo la Cassazione tali affermazioni non prospettavano però una vera e propria censura e neppure si correlavano con la ratio della decisione della Commissione. Pertanto erano inammissibili. Fondata invece era l’altra censura sopra evidenziata, in tema di omessa valutazione di dati rilevanti.
Conclusioni
La Commissione Tributaria Regionale, in effetti, aveva negato ogni rilievo alle due dichiarazioni del conduttore, evidenziando la mancanza di certezza riguardo alla data. Ma, nella specie, secondo la Cassazione, non si poneva un problema di certezza della data, quanto piuttosto di valutazione del contenuto di quei documenti. Nel processo tributario la dichiarazione del terzo, sostitutiva di atto notorio, non è assimilabile alla prova testimoniale, ma costituisce comunque un indizio ammissibile ed utilizzabile. E quindi tali dichiarazioni non potevano tout court essere considerati irrilevanti. La stessa Commissione, poi, non aveva valutato la documentazione bancaria prodotta dalla contribuente, omettendo dunque di prendere in considerazione elementi potenzialmente decisivi per il giudizio.