Licenziare un lavoratore è sempre più caro per un datore di lavoro. Soprattutto se il dipendente è assunto a tempo indeterminato. E soprattutto se l’azienda avvia procedimenti di licenziamento collettivo senza previo accordo con i sindacati. Fu la Legge Fornero a introdurre nel sistema il cosiddetto ticket licenziamento. Un contributo che ogni datore di lavoro deve versare all’INPS nel momento in cui decide di licenziare un proprio dipendente assunto precedentemente a tempo indeterminato.
Chiamato anche ticket NASPI, questo strumento è tra i più discussi e discutibili del sistema lavoro italiano. A tal punto che è duramente contestato dai datori di lavoro, che spesso finiscono con l’essere oggetto di ricorsi e vertenze da parte degli stessi lavoratori.
Lavoro e licenziamento, ecco cosa significa ticket licenziamento
Indice dei contenuti
Quanto costa licenziare un dipendente non può avere altra risposta che non è quella che riguarda il ticket licenziamento. Introdotto con la riforma Fornero infatti, il ticket licenziamento, conosciuto anche come ticket NASPI è una misura che di fatto ha due obiettivi. Il primo è quello di persuadere le aziende a mantenere assunti i propri lavoratori dipendenti, soprattutto quelli assunti a tempo indeterminato. Una specie di disincentivo ad usare il licenziamento nei confronti dei dipendenti. Questo il primo obiettivo della misura introdotta nel 2011 con la riforma Fornero. L’altro obiettivo del ticket licenziamento invece riguarda il costo che l’indennità per disoccupati involontari ha sulla cassa Stato e quindi sull’INPS. Infatti con i ticket licenziamento le aziende devono versare un corrispettivo per ogni dipendente licenziato apparentemente senza un valido motivo.
Quanto costa licenziare un dipendente ed a cosa stare attenti
Nel momento in cui un’azienda decide di licenziare un lavoratore dipendente assunto a tempo indeterminato, il datore di lavoro deve versare il cosiddetto ticket di licenziamento. Oltre alle varie limitazioni sui licenziamenti, che devono essere assolutamente motivati, il ticket diventa un altro pesante vincolo. In pratica oltre al licenziamento che non può essere senza motivo, il datore di lavoro deve pensare pure al ticket NASPI. Il ticket a carico del datore di lavoro non è dovuto per tutte le tipologie di rapporti di lavoro. Per esempio, si paga anche per gli apprendisti, ma non per chi è assunto a scadenza e quindi a tempo determinato. Inoltre se è il lavoratore a dimettersi, il ticket non è dovuto. Nemmeno per le dimissioni per giusta causa e nemmeno per i licenziamenti per giusta causa. Il ticket è basato sul massimale mensile di NASPI ed è pari al 41% di questo massimale per ogni 12 mesi di assunzione del lavoratore. Quindi, più anziano è più deve versare l’azienda. E nulla cambia per assunzioni a tempo pieno o part time. Il ticket massimo è pari a 3 volte il 41% del massimale NASPI (per chi è assunto da 36 o più mesi). Ed è pari a circa 600 euro per ogni 12 mesi di assunzione. Ma parliamo di licenziamenti individuali. Il ticket è giusto il doppio se il licenziamento è collettivo e riguarda aziende che hanno aperto programmi di CIG (Cassa Integrazione Guadagni). Soldi che si aggiungono anche al TFR, che è un altro duro colpo per l’azienda nel momento che licenzia un lavoratore.