L’attuale scenario globale sembra prefigurare un nuovo paradigma, il G2. Questo è una contrapposizione tra il c.d. Occidente collettivo da un alto, ed alcuni paesi caratterizzati da regimi non democratici dall’altro. La contrapposizione non è soltanto di natura politica ma ovviamente investe anche l’aspetto economico. Quali prospettive per una nuova moneta di scambio dei Brics?
La de-dollarizzazione
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Nel contesto della contrapposizione “West v. the Rest”, si registrano negli ultimi mesi delle tendenze, soprattutto da parte di Russia e Cina, a perseguire il decoupling dal dollaro come mezzo di pagamento internazionale.
La tendenza si manifesta con dichiarazioni e prese di posizioni in favore della creazione di una nuova moneta globale di scambio.
Recentemente, il Vicepresidente della Duma di Stato russa, Alexander Babakov, ha affermato che la Russia starebbe alacremente lavorando allo sviluppo di una nuova valuta, da utilizzare per il commercio tra le nazioni appartenenti ai Brics.
In risposta, è arrivata la considerazione attribuita dalla stampa al neopresidente brasiliano Luiz Inàcio Lula da Silva: “Ogni notte mi chiedo perché tutti i paesi devono basare il loro commercio sul dollaro“.
Castello di carta o prospettiva realistica?
Alcuni think tank e media occidentali stanno iniziando ad interrogarsi, più seriamente e con maggior frequenza, sulla portata e sulla realizzabilità di tale progetto.
Secondo un articolo di Foreign Policy, la fase mondiale di de-dollarizzazione potrebbe essere già iniziata. La prestigiosa rivista, ritenuta vicina al Dipartimento di Stato USA, sottolinea come il prodotto lordo interno dei paesi Brics, (Brasile, Russia, India, Cina, e Sudafrica) allo stato attuale sia superiore a quello delle nazioni facenti parte del G7.
Pertanto se questo gruppo di paesi riuscisse a costruire e diffondere un’eventuale moneta globale, alternativa al dollaro, l’impatto sull’egemonia del biglietto verde non sarebbe trascurabile.
Uno degli elementi a favore di una simile operazione potrebbe essere il surplus commerciale e conseguentemente quello della bilancia dei pagamenti, che caratterizza questo gruppo di paesi, principalmente grazie all’apporto cinese.
Ciò renderebbe superfluo per il blocco Brics dover attirare denaro proveniente da paesi stranieri ma basterebbe loro convincere la propria popolazione e le proprie aziende ad investire in asset denominati nella nuova moneta alternativa.
Quali prospettive per una nuova moneta di scambio dei Brics? Una tale operazione di moral suasion potrebbe riuscire più facilmente in Russia e Cina, dato il loro carattere di stati autoritari e fortemente accentrati.
Sembra invece piuttosto improbabile che il medesimo meccanismo possa funzionare in Brasile, India e Sudafrica che, seppure imperfette, sono pur sempre paesi a regime democratico.
Ciò non toglie che la narrazione stessa di una possibile moneta alternativa, rispetto al dollaro, stia contribuendo, quantomeno sul piano reputazionale, a creare dei disturbi al dollaro USA.
Quali prospettive per una nuova moneta di scambio dei Brics? Ad oggi, castello di carta
Il problema per la nuova valuta è che i Brics non sono un gruppo economico particolarmente solido. Sembra un esperimento di accoppiamento in laboratorio tra un gigante economico, la Cina, una potenza emergente, l’India, e tre economie molto più piccole, basate sulle esportazioni di materie prime. Non essendo realizzabile un’unione monetaria, le economie che compongono i Brics sono drasticamente diverse per quanto riguarda il commercio internazionale, la crescita economica e l’integrazione nel mercato globale dei capitali. In assenza di prezzi robusti delle materie prime, non sarebbe possibile sostenere bassi tassi di interesse e pertanto la creazione di credito interno.
Aditya Bhan della Observer Research Foundation ha notato che “Se i Paesi Brics volessero effettivamente procedere alla de-dollarizzazione, le loro economie necessiterebbero di un significativo riequilibrio che preveda l’apprezzamento delle loro valute, incoraggiando così le importazioni”. In pratica, ridurre la dipendenza dagli USA significherebbe consegnarsi alla Cina.
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