Dopo le note vicende che alcuni mesi orsono hanno riguardato il Nord Stream 2, distrutto da misteriose esplosioni subacquee, un nuovo episodio della guerra ibrida sottomarina semina inquietudine tra i paesi del blocco occidentale. Prosegue la guerra asimmetrica contro le infrastrutture sottomarine nel Mar Baltico. Vediamo cosa sta accandendo e cosa si potrebbe attendere in futuro.
Nella notte tra il 7 e l’8 dello scorso mese di ottobre si verificava, improvvisamente, la rottura del Baltic Connector, il gasdotto che collega la Finlandia con l’Estonia, attraversando il breve tratto di mare che separa i due Stati. Questo gasdotto, inaugurato nel corso del 2020, trasporta gas naturale dalla penisola scandinava all’Estonia e da qui in altri paesi europei. Per la posizione geografica in cui si trova, questa infrastruttura ha subito assunto una notevole valenza strategica. Essa si è poi accentuata a partire dallo scoppio del conflitto russo-ucraino, subito seguito dall’interruzione quasi totale delle forniture di gas russo verso l’Europa.
Ma cosa è realmente accaduto sui fondali del Mar Baltico al gasdotto che unisce Finlandia ed Estonia?
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Nei giorni immediatamente seguenti all’incidente le autorità finlandesi avevano parlato esplicitamente di sabotaggio, in riferimento a quanto avvenuto sul fondo del Mar Baltico. In particolare il primo ministro di Helsinki, Petteri Orpo, sembrava alludere ad un intervento occulto da parte russa, affermando che: “È molto probabile che i danni al gasdotto e al cavo di comunicazione siano il risultato di attività esterne”.
Va infatti notato che assieme al gasdotto baltico è risultato esser stato tranciato anche un cavo per comunicazioni, che collega l’Estonia con la Svezia. Sono quindi partite alcune indagini da parte dei servizi di sicurezza finlandesi, la Keskusrikospoliisi, che hanno focalizzato la loro attenzione sui natanti presenti in quei giorni nello specchio di mare interessato al danneggiamento del Baltic Connector. Risulterebbe, anche dall’incrocio dei dati con il sito di tracciamento del traffico marittimo, VesselFinder, che nell’area in quel momento vi fosse una porta-container cinese ed una nave da carico russa.
Il caso del Baltic Connector è quindi finito sul tavolo della Nato, entrando di diritto tra i temi caldi al centro delle ultime riunioni tenutesi a Bruxelles. Cui sono seguite le inequivocabili dichiarazioni da parte del Segretario Generale Iens Stoltenberg, il quale ha voluto sottolineare come sia stata colpita una infrastruttura dell’Alleanza atlantica e che l’eventuale risposta sarà “forte e determinata”. La questione va quindi al di là di quella puramente energetica perché mette in evidenza la fragilità delle infrastrutture critiche sottomarine e costiere. Al momento il problema della fornitura di gas verso l’Estonia verrà risolto grazie al rigassificatore galleggiante Inkoo Lng, che riceverà gas naturale liquefatto via nave.
Ma cosa assicura che anche i rigassificatori galleggianti non possano divenire un obiettivo delle nuove guerre asimmetriche per le quali non vi è più distinzione tra target militari e civili?
Tornando alla questione del supposto sabotaggio del gasdotto baltico e del cavo sottomarino per comunicazioni, le ultime rilevazioni sul fondale marino, svolte dalla Finlandia, hanno riscontrato la presenza di una grossa ancora di fabbricazione cinese, alta 2 metri e larga altrettanto. Il collegamento di quanto accaduto sul fondo del Mar Baltico con la porta-container cinese, salpata da Kaliningrad alla volta di S. Pietroburgo è parso, pertanto, immediato. Il fatto che poi il natante cinese non abbia risposto alle chiamate delle autorità marittime finlandesi per giorni, ha avuto l’ovvio risultato di alimentare i già corposi sospetti. Le tracce lasciate sul fondale marino sembrano indicare che la gigantesca ancora sia stata trascinata per chilometri, fino ad impattare con il gasdotto e con il cavo per comunicazioni, tranciandoli di netto.
Prosegue la guerra asimmetrica contro le infrastrutture sottomarine nel Mar Baltico: conclusioni
Un altro elemento degno di nota riguarda inoltre la rotta seguita dalla porta-container cinese per arrivare nel Baltico: il mitico passaggio a nordest, ossia il percorso sub-artico che, attraversando lo stretto di Bering, conduce in Europa a partire dall’Oceano Pacifico settentrionale. Infatti la nave cinese, battente bandiera di Hong Kong, che si chiama “Newnew Polar Bear”: è un natante speciale, dotato di uno scafo rinforzato per affrontare i ghiacci. Dopo gli inutili tentativi di comunicazione operati dalle autorità finniche ha infine abbandonato il porto di S. Pietroburgo per fare ritorno in Cina, percorrendo a ritroso la rotta artica. Pare si tratti del primo mercantile a scegliere come percorso questa rotta che, con il progressivo riscaldamento terrestre, potrebbe divenire strategica per gli interessi cinesi, non solo per il risparmio di tempi e costi ma soprattutto perché sfugge quasi completamente al controllo marittimo dell’Occidente.
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