Il principio di conservazione del negozio giuridico, mutuato da quello di certezza del diritto, permea diverse disposizioni del codice civile e, in particolare, del diritto societario. Il Legislatore è orientato alla conservazione degli assetti organizzativi delle società, conferendo agli stessi carattere di stabilità anche nella fase delle trasformazioni societarie, ovvero in quella dinamica della vita delle societas.
A tal fine, detta una serie di disposizioni volte ad impedire l’esercizio dell’azione di nullità e/o di annullamento degli assetti che le persone giuridiche assumono, concluso il procedimento di fusione o scissione.
Preclusioni all’invalidazione dell’atto di fusione o scissione societaria e determinazioni negoziali successive, in presenza di una modificazione dei valori patrimoniali presi in considerazione nel progetto di fusione o di scissione. Conservazione degli assetti organizzativi e autonomia contrattuale.
Studiamo il caso.
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Talvolta, accade, tuttavia, che vi siano delle modificazioni patrimoniali, successivamente all’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto modificativo, alle quali l’ordinamento giuridico appresta tutela, ricorrendo al principio dell’autonomia contrattuale, di cui all’art. 1322 c.c., e consentendo alle parti di assumere determinazioni negoziali a latere dell’atto di fusione o scissione, senza che questo venga invalidato.
Nella prassi, la mancata applicazione di tali principi può dar luogo a contenziosi, in materia societaria, come è accaduto nella vicenda sulla quale si è espresso l’Organo di Nomofilachia, con sentenza N. 8120 /2022, Sez. I Civile, pubblicata lo scorso 14.03.2022.
Nella fattispecie, si fa riferimento a “differenze patrimoniali rispetto al progetto di scissione”, che erano state oggetto di un accordo transattivo nel 1999 tra le società in causa.
All’origine della vicenda, vi è il ricorso proposto da una società, volto a domandare l’ammissione allo stato passivo del fallimento di una somma, per asserita “Differenza negativa di scissione, emersa tra la data di riferimento del progetto di scissione e quella di efficacia della scissione stessa”.
La Curatela Fallimentare, nel costituirsi, ha contestato delle deduzioni della controparte e sollevato domanda riconvenzionale, per il pagamento di un importo superiore, quale saldo del maggior credito vantato dalla massa nei confronti della ricorrente.
Il Tribunale di Roma ha respinto la domanda attorea ed accolto quella del fallimento, condannando la società ricorrente al pagamento della somma pretesa dal fallimento, oltre interessi.
La società soccombente ha, quindi, appellato la sentenza del Giudice di prima cure, ma la Corte d’Appello di Roma ha respinto il gravame, sul presupposto per cui il Tribunale aveva correttamente applicato il principio secondo il quale l’invalidità dell’atto di scissione non può più essere dichiarata, successivamente all’iscrizione dell’atto stesso nel registro delle imprese.
In relazione ad ulteriore ma connesso profilo, la Corte di merito ha evidenziato che erano stati gli stessi amministratori delle due società, la scissa e la beneficiaria, ad aver accertato nel patrimonio trasferito per effetto della scissione una eccedenza, qualificato come debito dalla società appellante. Il riconoscimento del debito, da parte di quest’ultima, quindi, derivava dalla valutazione e approvazione del medesimo da parte degli organi deliberativi. In tale contesto, inoltre, la Corte d’Appello aveva escluso l’esperibilità della consulenza tecnica e l’ammissione della domanda di esibizione della documentazione contabile, ritenendo che i due mezzi istruttori presentassero “Natura sostanzialmente esplorativa”, risultando, dalla documentazione agli atti, acclarata l’esistenza ed il riconoscimento del debito da parte dell’appellante.
Avverso la sentenza della Corte di merito, la società soccombente ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi, mentre il Fallimento ha assistito con controricorso.
Il Giudice del diritto ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, condannando, ancora una volta, la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio e confermando, sostanzialmente, sia pur con alcune precisazioni e modificazioni, l’iter logico argomentativo del Giudice di seconda cure.
Segnatamente, secondo la Suprema Corte, la situazione patrimoniale definita nel corso del procedimento di scissione è divenuta parte dell’atto finale perfezionativo della trasformazione e, quindi, dell’atto di scissione, il quale regola definitivamente il rapporto tra le due società.
A sostegno della statuizione, la Corte di Cassazione ha richiamato la disposizione di cui all’art. 2504 quater c.c., disciplinante le fusioni, ma applicabile anche alle operazioni di scissione, ai sensi dell’art. 2504 novies, oggi art. 2506 ter, secondo cui, eseguita l’iscrizione dell’atto (di fusione o scissione) delle società, nel registro delle imprese, l’invalidità dello stesso non può più essere dichiarata.
La disposizione richiamata pone una preclusione di carattere assoluto, tanto per il caso in cui si deducano vizi inerenti all’atto di trasformazione, tanto per l’ipotesi in cui i vizi riguardino il procedimento di formazione dell’atto e della sua iscrizione. La regula iuris posta dall’art. 2504 quater, tuttavia, non opera nel senso indicato dalla Corte di merito.
Secondo la Suprema Corte, infatti, essa è preordinata a preservare l’effettività dell’organizzazione societaria nascente dall’operazione di fusione o da quella di scissione.
Preclude, pertanto, la pronuncia d’invalidità dell’atto, successivamente all’iscrizione dello stesso nel registro delle imprese, evitando, così, quelle che la relazione ministeriale al d. lgs n. 22 del 1991 indica come difficoltà gravissime, che nascerebbero, qualora fosse dichiarata nulla una fusione già attuata.
Tuttavia e in questo sta la portata innovativa della sentenza in oggetto, non impedisce alle parti dell’accordo (di fusione o scissione) di assumere determinazioni negoziali, in presenza di una modificazione dei valori patrimoniali, presi in considerazione nel progetto di fusione o di scissione.
Nel caso sottoposto all’esame della Cassazione, si fa proprio riferimento a “differenze rispetto al progetto di scissione”, ovvero ad attribuzioni patrimoniali che hanno il loto titolo nel legittimo dispiegarsi dell’autonomia privata e che determinano il superamento del precedente assetto organizzativo, ovvero di quello nascente dall’atto di scissione (dal quale non discendevano reciproche posizioni di credito e debito in capo alle due società).
Sulla base di tali argomentazioni di diritto, l’Organo di Nomofilachia, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, afferma la seguente Massima: la disposizione di cui all’art. 2506 ter c.c. pone una preclusione di carattere assoluto, in base alla quale, una volta eseguita l’iscrizione dell’atto di fusione delle società, l’invalidità dello stesso non può più essere dichiarata. Preclusione che opera sia nel caso in cui si deducano vizi inerenti direttamente all’atto di fusione, tanto nell’ipotesi in cui i vizi riguardino il procedimento di formazione dell’atto e della sua iscrizione.
Tuttavia, tale preclusione non impedisce alle parti dell’accordo di assumere determinazioni negoziali, in presenza di una modificazione dei valori patrimoniali, presi in considerazione nel progetto di fusione o scissione.
Secondo il Giudice del diritto, le contestazioni oggetto del procedimento per cassazione, avrebbero trovato il loro assetto nell’ambito delle negoziazioni, intercorse tra le parti, nel 1999, essendo state, appunto, oggetto di transazione. Le società avrebbero ben potuto, successivamente all’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di scissione, diversamente regolamentare i rapporti di credito/debito insorti successivamente a quella data, apprestando l’ordinamento apposita tutela per situazioni patrimoniali non consacrate dall’atto di trasformazione societaria. Anziché invalidare l’atto di scissione o fusione, secondo l’interprete, ragioni di certezza del diritto e di tutela degli assetti organizzativi delle società impongono di dar corpo al principio di cui all’art. 1322 c.c., riempendo l’autonomia contrattuale di contenuti: i negozi giuridici, anche atipici, a latere di atti di trasformazione divenuti definitivi e non invalidabili.
Uno strumento, quello della contrattazione atipica, che, nell’ambito del fenomeno del collegamento negoziale, consente di modificare i rapporti patrimoniali tra le società, senza scalfire la struttura organizzativa voluta dalle stesse, attraverso il procedimento di trasformazione ed attualizzando, plasmandolo alle esigenze della vita societaria, l’atto di fusione o scissione.
L’ autonomia contrattuale, espressione della volontà delle parti, si pone in perfetta armonia con il principio di conservazione e di certezza del diritto e come alternativa al contenzioso tra imprese, in piena aderenza ai principi costituzionali del giusto processo ed alle esigenze di deflazione della “Macchina Giudiziaria”.
La sentenza in commento suona come un monito per le società e i privati: “contrattate, non fate cause!”
Ulteriore approfondimento a Preclusioni all’invalidazione dell’atto di fusione o scissione societaria e determinazioni negoziali successive