Più degli scatti di anzianità e della paga minima, pochi sanno che il datore di lavoro è obbligato a mettere in busta paga questa componente fissa

famiglia busta paga

Come noto, sono molte le voci che compongono la busta paga di un dipendente. Intanto, va ricordato che la busta paga non è altro che una sezione del cosiddetto LUL, Libro Unico del Lavoro. Quest’ultimo è un registro di tipo digitale che contiene varie informazioni sul rapporto di lavoro tra azienda e dipendente. Per prima cosa i dati anagrafici del dipendente, la sua retribuzione lorda e netta e infine le assenze e i giorni di lavoro. Dunque, per conoscere e per saper leggere la busta paga, bisogna sostanzialmente guardare la sezione retribuzione del LUL. La retribuzione di riferimento costituisce la voce più basica della busta paga.

Essa non sarebbe altro che la retribuzione pagata dall’azienda in base al minimo fissato dai contratti collettivi. In Italia, spesso, si sente dire che non esiste una legge che imponga un minimo salariale comune. Questo è effettivamente vero. Quello che, però, spesso non si dice è che nei settori con un contratto collettivo nazionale una retribuzione minima esiste. Infatti, secondo la giurisprudenza, violerebbe la legge e Costituzione, in particolare l’articolo 36, il datore di lavoro che non rispettasse il minimo salariale fissato dalla contrattazione collettiva. E attenzione perché la legge prevede sanzioni severe quando il datore di lavoro viola la norme a tutela dei dipendenti.

Più degli scatti di anzianità e della paga minima, pochi sanno che il datore di lavoro è obbligato a mettere in busta paga questa componente fissa

La retribuzione di riferimento, che costituisce la retribuzione minima, si compone, a sua volta, di varie voci che dipendono dal contratto collettivo. Tra queste abbiamo il minimo tabellare, la paga base, la contingenza e il terzo elemento. Normalmente, poi, a seconda degli anni lavorati in quell’azienda, in busta paga abbiamo gli scatti di anzianità che determinano una retribuzione aggiuntiva.

Interessante, poi, il concetto di superminimo. È possibile che dipendenti e datore di lavoro raggiungano un accordo per maggiorare la retribuzione minima. Datore di lavoro e dipendenti, cioè, aumentano, con un accordo aziendale, la retribuzione base prevista dal contratto collettivo. Si parla di superminimo. A seconda del tipo di accordo, il superminimo può essere assorbibile, cioè viene assorbito dagli aumenti nel momento del rinnovo dei contratti collettivi. Oppure può essere non assorbibile, e quindi, la sua maggiorazione prescinde e rimane anche dopo il rinnovo del contratto collettivo.

L’uso aziendale

Importante una recente sentenza del Tribunale di Napoli, numero 1934/2022, proprio in tema di superminimo salariale. Secondo il Tribunale, più degli scatti di anzianità e delle altre componenti suddette, il capo è obbligato a riconoscere il superminimo anche durante il rinnovo dei contratti collettivi. Infatti, secondo i giudici, se le norme aziendali non sono del tutto chiare e il datore di lavoro ha sempre pagato il superminimo ai suoi dipendenti, si forma un uso aziendale.

Se l’azienda ha sempre pagato il superminimo, in assenza di norme chiare, nasce il dover del datore di lavoro di pagare questa retribuzione aggiuntiva. Non può, invece, esimersi dal pagare con una decisione unilaterale o in base ad una diversa interpretazione del contratto aziendale. Questo perché, appunto, dalla ripetizione del comportamento è nato un uso aziendale.

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