Pubblicare è davvero semplice. Abbiamo a disposizione tutti i mezzi necessari per farlo, per condividere qualsiasi cosa, in qualsiasi momento. Allora scegliamo di rendere pubblica la versione migliore di noi.
Ma è quella la verità? E soprattutto: quale effetto ha sugli altri?
Certamente la facilità di informare e tenersi informati può essere vista come un progresso. Questo, almeno, finché l’informazione è responsabile.
Quando così non è – ma l’informazione è soltanto il riflesso del bisogno di mettersi in mostra – ecco che l’informazione incontrollata genere un’ondata invidia.
Perché viviamo il secolo dell’invidia
Indice dei contenuti
I social network, purtroppo, ci hanno insegnato anche questo. Vetrine in cui scorrono vite pompate, apparentemente perfette, mostrate senza alcuna certificazione di verità, stanno alimentando un senso generalizzato d’inadeguatezza.
Non è un caso che il sentimento si diffonda prevalentemente tra le nuove generazioni. Sempre più giovani soffrono per l’idea che la loro esistenza non sia all’altezza di quella degli altri.
La depressione adolescenziale non è mai stata tanto diffusa. Tutt’altro che rari sono i casi in cui si ricorre all’autolesionismo per sfuggire a un annichilimento emotivo.
L’invidia è oramai un fenomeno sociale, che si nutre della moltitudine di immagini a cui possiamo attingere (o in cui incappiamo senza nemmeno volerlo). Troviamo ovunque elementi con cui paragonarci.
Una nuova sindrome, la paragonite
Gli studiosi Lukianoff e Haidt stanno sconvolgendo gli USA con recenti ricerche sulla depressione giovanile causata dai social.
Mentre il terapista Windy Dryden ha addirittura coniato un termine, che descrive questa nuova propensione a un malato e costante confronto: “paragonite”.
Dryden intende dar nome a una vera e propria sindrome, che rende sempre più impossibile essere soddisfatti per ciò che si è o si ha.
Ecco perché viviamo il secolo dell’invidia, come aveva predetto Melanie Klein: non abbiamo più scudi contro la falsità.
Per salvarci, sarebbe d’aiuto informarci meglio. In alcuni casi, forse, informarci di meno.