La necessità di trovare una soluzione vera al problema della plastica è diventata di primaria importanza. Nel mondo che viviamo la plastica pare essere ovunque.
Si trova anche nel nostro organismo, a causa delle microparticelle presenti nell’acqua del mare e anche in quella potabile.
Proprio nel mare ogni anno finiscono dagli 8 ai 13 milioni di tonnellate di plastica.
396 milioni di tonnellate sono quelle prodotte annualmente da tutti i paesi del mondo.
Il perché la plastica si sia diffusa in modo incontrollato, trova risposta nella comodità del suo utilizzo. La facilità con cui la plastica si usa e getta via, e la resistenza del materiale.
La plastica non si decompone, ma si riduce in pezzetti sempre più piccoli.
Il problema della difficoltà di smaltimento (solo il 20% viene riciclato) è la malattia del secolo.
Per cercare una via d’uscita nel 2021 la plastica monouso scomparirà. Nel frattempo molti governi hanno imposto una tassa, la plastic tax, sulla plastica non riciclata.
Queste misure dovrebbero ridurre del 10-15, massimo 20% l’impatto ambientale di questo materiale.
Plastica e pandemia
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Dall’inizio dell’emergenza Covid-19, la questione dell’inquinamento da plastica pare sia stato dimenticato. In più si è registrato un aggravamento.
Numerosi sono gli studi fatti, di cui alcuni in corso, che confermano come la pandemia abbia aggravato l’emergenza ambientale.
Sebbene per poco, nei mesi di lockdown la ridotta presenza di macchine, di inquinamento acustico e di spazzatura per le strade è stato di sollievo per la natura.
La ripresa della vita fuori dalle nostre case ha generato un aumento dell’utilizzo della plastica monouso, che negli USA ha toccato il 250%.
Questo fenomeno nasce dalla paura dell’infezione e del contagio. Optare per contenitori e imballaggi per cibo di qualsiasi genere, bevande e prodotti di consumo ci è sembrata la scelta più sicura. Spedizioni, spesa online e cibo d’asporto, tutto in imballaggi di plastica.
Eppure è stato dimostrato che la sopravvivenza del virus si allunga proprio a contatto con materiali di plastica e affini (72 ore).
Quindi la plastica non sarebbe affatto il materiale più sicuro.
Ora veniamo alla questione fatidica: perché stiamo inquinando il mondo con le mascherine.
Le mascherine usa e getta sono ovviamente di grande utilità. Dalla comparsa del virus ne sono state prodotte globalmente più di 129 miliardi.
Ma alla valutazione del problema dello smaltimento delle mascherine si arriva solo da poco.
Per le mascherine chirurgiche non c’è una filiera di riciclo. La loro fine è nelle discariche o dentro gli inceneritori senza pensare alle conseguenze sull’ambiente.
Per non parlare dei guanti in lattice e plastica monouso che hanno esattamente le stesse caratteristiche.
Quali sono le possibili soluzioni?
Perché stiamo inquinando il mondo con le mascherine? Ci sarebbero delle scelte risolutive al problema. Sappiamo che proteggersi è fondamentale, dunque perché non scegliere delle mascherine lavabili, in cotone o altro tessuto. C’è un’ampia scelta di mascherine riutilizzabili e lavabili che assolvono ai compiti dettati dal Ministero della Salute.
Sarebbe bene anche creare una filiera di smaltimento fatta apposta per questo tipo di materiali. Ogni scuola e ogni ufficio di grandi dimensioni potrebbe avere un apposito cassone dove gettare le mascherine monouso per consentirne il recupero.
Infine, usare i guanti non parrebbe necessario, dato che i disinfettanti in commercio assolvono perfettamente al loro compito di igienizzare.
Quindi, perché stiamo inquinando il mondo con le mascherine se possiamo fare delle scelte etiche differenti continuando a proteggerci? Questo è un invito che, a partire dal Governo, dovrebbe essere preso in seria considerazione.