Per la configurazione di abuso del diritto rileva lo scopo di conseguire un risparmio di imposta. Studiamo il caso.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 40941 del 21/12/2021, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di abuso del diritto. Nella specie la contestazione riguardava una cessione temporanea del diritto di usufrutto sulle partecipazioni di una SpA. Attraverso l’operazione le persone fisiche cedenti il diritto di usufrutto avevano incassato somme di importo esattamente corrispondente ai dividendi distribuiti dalla Società. Ma l’incasso era avvenuto sotto forma di prezzo di cessione dell’usufrutto, annoverabile tra i “redditi diversi” anziché tra i redditi di capitale. Il ricorso veniva accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale. Ma la decisione veniva integralmente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale, in accoglimento dell’appello dell’Amministrazione finanziaria. I contribuenti proponevano infine ricorso per cassazione E contestavano che l’operazione di cessione del diritto di usufrutto fosse un’operazione elusiva, non avendo peraltro l’Agenzia delle Entrate dimostrato il risparmio di imposta conseguito.
La decisione
Secondo la Cassazione la censura era infondata. Evidenziano i giudici che per la configurazione di abuso del diritto rileva lo scopo di conseguire un risparmio di imposta. Scopo che sarà illecito laddove le ragioni economiche dell’operazione appaiano meramente marginali, o comunque irrilevanti rispetto alla finalità di ottenere un (indebito) vantaggio fiscale. In sostanza, la prova dell’elusione deve incentrarsi sulle modalità di manipolazione ed alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati. Oltre che sulla loro non conformità ad una normale logica di mercato. Nella specie, la CTR aveva diffusamente evidenziato la mancanza di valide ragioni economiche per la stipulazione dell’atto di cessione temporanea del diritto di usufrutto. E dunque il ricorso era da respingere.
Conclusioni
In conclusione, nella specie, l’operazione di riscossione e di restituzione della medesima somma, costituiva una mera “partita di giro”, priva di valide ragioni economiche. Ed assolveva unicamente a finalità di elusione fiscale. Elusione perseguita attraverso la riqualificazione di somme percepite a titolo di dividendi in somme percepite a titolo di redditi diversi di natura finanziaria. Attraverso tale operazione, sul corrispettivo ricevuto per il pagamento del prezzo di cessione del diritto di usufrutto, il contribuente aveva versato l’imposta sostitutiva del 12,5%. Se invece la medesima somma fosse stata percepita a titolo di distribuzione dei dividendi, il contribuente avrebbe dovuto versare l’aliquota Irpef progressiva pari al 45%. E dunque l’Agenzia delle Entrate aveva ben individuato il risparmio fiscale (illecito) conseguito.