Il tema dei diritti successori nell’ordinamento italiano è storicamente piuttosto complesso. Negli ultimi anni, in compenso, alcune norme e sentenze si stanno occupando di definire e descrivere la situazione giuridica di alcune forme di comunione di vita molto diffuse. Un esempio è quello della convivenza di fatto. Questa situazione riguarda milioni di italiani.
Questa avviene quando due persone maggiorenni sono “unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, e non sono vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile” (art.1 della Legge 76/2016). Il primo aspetto che occorre conoscere è che il convivente non è erede per legge. Se dunque un partner muore senza aver disposto nulla nel testamento, nessuna quota dell’eredità giungerà al sopravvissuto per il solo fatto di aver convissuto.
La situazione però è ben diversa qualora tramite testamento, ma limitatamente alla quota cosiddetta “legittima” (quella che non è riservata dalla legge ad alcuni parenti), il partner definisca come erede il proprio convivente di fatto. C’è di più. Infatti, è disposta per il convivente di fatto sopravvissuto non solo la possibile quota nel testamento, ma anche la possibilità di ottenere risarcimenti patrimoniali per i danni derivanti dalla morte del partner causata da terzi.
I requisiti
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L’importante principio è stato confermato dalla Corte di Cassazione attraverso l’Ordinanza 9178/2018. Il risarcimento del danno per la morte del partner spetta anche alla persona convivente di fatto. Questo aspetto si verifica non esclusivamente in caso di coabitazione. Infatti, la Corte Suprema ha stabilito che il criterio fondante una comunione di affetto e la reciproca assistenza potrebbe anche sussistere senza la condivisione di una residenza comune.
Il convivente dovrà però fornire la prova, anche tramite presunzioni ed elementi indiziari, della effettività e della continuità del rapporto sentimentale. Se queste condizioni sono avverate, potrà ben vedere applicato l’art. 2059 del Codice Civile. Questo principio, peraltro, discenderebbe dall’articolo 2 della Costituzione, all’interno del quale si prevede la garanzia dei diritti inviolabili nelle formazioni sociali in cui l’individuo svolge la propria personalità.
Per il convivente di fatto sopravvissuto non solo l’eredità nel testamento ma anche quest’altro importante diritto di natura economica
Ricordiamo infine che c’è un ulteriore importante diritto per il coniuge superstite. Questo consiste nel suo diritto all’abitazione nella comune residenza per una durata di due anni (tre in caso di presenza di figli minori o disabili). In caso di pregressa convivenza per un termine maggiore ai due anni, la possibilità di permanere risulterebbe anche maggiore, purché non superiore ai cinque anni. Questo diritto viene meno se il partner si sposa, inizia una nuova convivenza, cessa di vivere nella casa oppure compie un’unione civile. Inoltre, questi diritti sono subordinati al riconoscimento giuridico della convivenza di fatto.
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