Laureata in Ingegneria Chimica presso l’Università di Roma “La Sapienza” (dove ha conseguito anche il Dottorato in Processi Chimici Industriali), lavora presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma, dove attualmente è docente del corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Chimica per lo Sviluppo Sostenibile. Reviewer di diverse riviste scientifiche internazionali. Ed ancora, autrice di numerose pubblicazioni.
Luisa Di Paola ci aiuta a comprendere il complesso concetto della transizione ecologica. Tra criticità e opportunità, tempi e idee in campo. Dunque, occhio «allo spreco di energia da rinnovabili».
L’Italia com’è messa sul fronte della transizione ecologica?
Indice dei contenuti
«Sul tema della Green economy siamo uno degli Stati in Europa che ha più tecnologie e siamo primi per recupero degli scarti industriali. Abbiamo ottime capacità in termini di idroelettrico non ancora pienamente sfruttato. Purtroppo ci sono barriere burocratiche che impediscono installazioni di grossi impianti».
Per le abitazioni civili e gli edifici invece?
«Abbiamo un problema enorme che è rappresentato dall’abusivismo edilizio e questo blocca i sistemi domestici. La nuova normativa impone l’installazione di pannelli solari su edifici pubblici e privati a partire dal 2025. Ma per quelli che già ci sono? È lì il problema».
Abbiamo anche il maxi Piano del Repower EU….
«Si, è nuova frontiera che viene valutata come bisogno di uno Stato al netto di tutto ciò che si può installare nel tempo e il fossile andrà a diminuire negli anni. Il Piano comprende circa 300 miliardi di euro e punta ad una crescita massiccia delle rinnovabili. Ancora sul risparmio energetico e sulla possibilità di cambiare il fornitore unico del gas che finora è rappresentato dalla Russia».
Occhio «allo spreco di energia da rinnovabili», l’importanza del recupero dell’energia che si accumula nelle ore di punta. Ci sono delle criticità?
«Uno dei problemi che dobbiamo risolvere riguarda lo spreco di energia prodotta dalle rinnovabili che sono intermittenti. Cioè durante il giorno, ad esempio, soprattutto nelle ore di maggiore caldo e sole produci molta energia e non la utilizzi. Questa viene buttata nella rete. C’è un sovraccarico nelle ore di punta e lo scarico a terra è un problema enorme perché il parco batteria si carica subito soprattutto d’estate. Così nelle ore calde c’è un picco enorme. E questo è un grosso problema relativo allo scarico. Ci sono progetti specifici come quello SNAM che si chiama «Power to gas». In sostanza il progetto consente di raccogliere e immagazzinare l’elettricità in esubero sotto forma di metano o idrogeno. Si tratta di un deposito per l’energia prodotta dalle rinnovabili».
La guerra può rallentare la transizione energetica?
«Fino allo scorso mese di febbraio c’era ancora qualche resistenza. Dopo di fronte ad una questione di forte necessità che ci pone di fronte alla condizione che possiamo non avere più gas, tutto è cambiato. Paradossalmente, è brutto dirlo, ma la guerra può anche essere un grosso promotore di progresso e ha accelerato in modo caotico le strategie della transizione. Adesso non è più solo una questione etica ma una necessità che impone una riflessione. Nel passato abbiamo gestito il tutto con un forte antiscientismo e i comitati del «no». Questo ha creato rallentamenti. Anche perché spesso molte forze politiche hanno assecondato tali posizioni per motivi squisitamente elettorali». E adesso occhio allo spreco di energia.
C’è maggiore consapevolezza rispetto al passato?
«In generale c’è una cultura e una consapevolezza diversa. Con l’Università abbiamo lavorato ad una startup che si chiama Winged Srl. Ci accorgiamo che c’è una sensibilità differente, la gente è cambiata e anche le Istituzioni a vario titolo si sono attivate per migliorare in tal senso. In tutto questo anche la Comunicazione svolge un ruolo fondamentale».
I tempi quali sono? l’inverno è alle porte….
«È un processo lungo e il carbone ha un ruolo centrale in questo momento perché dobbiamo creare carichi termici per le aziende e le famiglie. Sicuramente c’è ancora bisogno di fossili. Tra l’altro la creazione di grossi sistemi di rinnovabili richiede grossi materiali. Ad esempio, ci occorrono il platino, il palladio e il litio che sono presenti nelle marmitte e l’unico produttore è la Russia. Adesso occorre attivare tecnologie per recuperarle da scarti e materiali dismessi». Occhio allo spreco di energia, quindi.
L’attivista africana Vanessa Nakate ritiene non tutto ciò che è green sia realmente ad impatto zero per l’ambiente e fa l’esempio delle auto elettriche…
«Sicuramente ci sono delle considerazioni. Ad esempio, le batterie per l’accumulo di fotovoltaico sono a base di ioni di litio. L’estrazione crea dissesti ecologici e socioeconomici perché le miniere sono gestite dai signori della guerra. Non è facile perché spesso l’impatto è anche da considerarsi rispetto all’impiego di tutti i materiali da utilizzare»
Se potesse, cosa farebbe?
«L’ideale sarebbe creare delle comunità energetiche indipendenti come in Germania. Quartieri, piccoli Comuni che utilizzano l’energia prodotta attraverso fonti rinnovabili comuni. Purtroppo, la centralizzazione (cioè contare su un unico fornitore) andrebbe scardinata. Dovremmo tornare ad una sorta di autarchia energetica. Ma ci vuole tempo».