Ancora prima di arrivare all’età pensionabile la nostra mente potrebbe iniziare a vacillare sotto il peso di dimenticanze e difficoltà di concentrazione. Già intorno ai 50 anni si cominciano ad avvertire dei vuoti di memoria per cui si dimenticano appuntamenti e oggetti. Si ha come l’impressione che la mente sia sovraffaticata e annebbiata e non riesca a gestire le informazioni che provengono dall’esterno. Gli Esperti hanno precisato che questi banali 5 sintomi a 45 anni indicano che il cervello sta andando incontro alla demenza e all’ottundimento. E ciò per dimostrare che non è l’età che rallenta e spegne il cervello ma questo terribile nemico di memoria e neuroni. Si tratta per lo più di aggressioni silenti e costanti che finiscono con il fiaccare la funzionalità e la plasticità neuronale.
E per quanto un nuovo farmaco rallenta il declino del cervello che inizia a dimenticare nomi e parole talvolta si può evitare la chimica farmaceutica. Prima di affidarsi a terapie farmacologiche si potrebbe anzitutto smantellare qualche cattiva abitudine e adottarne di più salutari. Anche sul versante alimentazione si potrebbero modificare alcuni cibi che favoriscono l’invecchiamento del cervello e l’atrofia cerebrale. Non a caso gli studiosi consigliano di consumarne almeno 3 cucchiaini a pranzo per migliorare memoria e mente dopo i 40 anni. Infatti, non è da sottovalutare il filo diretto che lega la qualità e la quantità del cibo quotidiano all’attività mentale e alle abilità mnemoniche.
Non è l’età che rallenta e spegne il cervello ma questo terribile nemico di memoria e neuroni
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Dallo studio di alcuni ricercatori emergono dati sconfortanti relativi ai danni cerebrali derivanti da un’eccessiva esposizione a eventi stressanti. Nello specifico la ricerca prende in esame gli effetti devastanti che le professioni più logoranti e stressanti hanno sulla salute mentale. Sono in particolare i turni di lavoro notturno a infliggere i colpi peggiori alle risorse cognitive. Il declino cerebrale accelera di più di 6 anni nei soggetti che lavorano a turni e che quindi hanno bioritmi alterati. Inoltre la perdita dell’elasticità cognitiva aumenta in proporzione al numero degli anni in cui il lavoratore effettua turni soprattutto durante le ore notturne. E anche quando viene meno l’impegno professionale con i turni occorrono almeno 5 anni per porre rimedio alle conseguenze negative dello stress lavorativo. In sostanza chi deve svolgere mansioni professionali anche di notte è più esposto a disturbi cognitivi che potrebbero divenire cronici.