La Cassazione, con la Sentenza n. 20551 del 26.05.2022, ha chiarito i presupposti in presenza dei quali è possibile confiscare il prezzo del reato. Nella specie, la Corte d’appello aveva confermato la sentenza con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di anni due di reclusione. Gli stessi giudici avevano disposto le sanzioni accessorie, con confisca diretta, ovvero, in caso di impossibilità di esecuzione, per equivalente, per quasi 200.000 euro.
I reati contestati attenevano al fatto che l’imputato, in qualità di titolare di ditta individuale, al fine di evadere, aveva distrutto fatture e documentazione fiscale. In tal modo non aveva consentito la ricostruzione dei propri redditi e volume d’affari. Lo stesso imputato aveva anche consentito a terzi di evadere le imposte sul reddito e Iva, emettendo fatture false per operazioni inesistenti. Avverso la sentenza l’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando il vizio di motivazione in ordine alla disposta confisca. A parere della difesa, il profitto di reato non coincideva con il risparmio di imposta evasa, ma doveva essere rapportato al prezzo del reato. Prezzo del reato consistente nell’eventuale compenso che l’imputato avesse percepito per l’emissione a favore di terzi di fatture false. E di tale compenso non vi era alcuna traccia.
La decisione
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Secondo la Suprema Corte la censura era fondata. I giudici analizzano la disciplina relativa alla fattispecie di emissione di fatture per operazioni inesistenti. E rilevano che la confisca del profitto del reato non può essere disposta sui beni dell’emittente per valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture. Escludendosi la configurabilità del concorso reciproco tra chi emette le fatture false e chi se ne avvale, non si applica infatti il principio solidaristico.
Non è confiscabile il profitto, ma il prezzo del reato
Pertanto, in caso di operazioni inesistenti e false fatture, non è confiscabile il profitto, ma il prezzo del reato. E, come detto, il prezzo del reato è pari al compenso percepito per l’emissione delle fatture false.
Conclusioni
In conclusione, la Corte d’appello aveva sbagliato nel ritenere che la confisca dovesse avere ad oggetto il profitto consistente nel risparmio economico delle imposte evase. Tale violazione di legge imponeva pertanto l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla confisca diretta o per equivalente disposta nei confronti dell’imputato. Con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello, la stessa, avrebbe dovuto applicare il principio indicato. E avrebbe quindi dovuto accertare l’eventuale compenso, o altra utilità, che l’imputato avesse percepito per la commissione del reato. E, su questo, parametrare infine l’entità della confisca.