È noto come il contratto di lavoro faccia sorgere una serie di diritti e obblighi in capo al dipendente e al datore di lavoro. Per citare i principali, c’è l’obbligo del capo di pagare lo stipendio ai propri dipendenti e di assicurargli ferie e riposo settimanale. Oltre a questo, è necessario che garantisca un posto di lavoro privo di pericoli per l’incolumità dei dipendenti. Il lavoratore, da parte sua, deve assicurare la sua prestazione lavorativa nei modi, nelle forme e per le ore previste dal contratto.
Non solo, il lavoratore ha anche una serie di obblighi complementari, accanto allo svolgimento delle sue mansioni, che rivestono un’importanza centrale nel rapporto di lavoro. Si tratta del dovere di rispettare le norme disciplinari. Infatti, lo Statuto dei lavoratori, all’articolo 7, prevede l’esistenza di norme disciplinari e delle relative sanzioni, in caso di violazione da parte del dipendente.
Le regole disciplinari
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È il Codice disciplinare che contiene queste norme disciplinari. Il Codice elenca i comportamenti vietati e, in caso di violazione, prevede una sanzione proporzionata all’infrazione. Oltre a questo, il Codice prevede anche le procedure di contestazione di queste violazioni. Molti pensano che il datore di lavoro possa immediatamente sanzionare e licenziare il dipendente che tiene condotte che lui ritiene scorrette. In realtà, il datore è obbligato ad attenersi a quanto previsto dalla legge e dal Codice disciplinare.
Ha affrontato il problema la Corte di Cassazione con la sentenza 17784/2022. Il caso era quello di un dipendente che pubblicava degli articoli su Facebook condannando il datore di lavoro. Infatti, criticava gli atteggiamenti scorretti e il comportamento di sfruttamento verso i propri dipendenti, attraverso lo strumento dei social. Il datore di lavoro, allora, denunciava il suo dipendente per diffamazione a mezzo stampa.
Molti pensano che il datore di lavoro possa denunciare e licenziare il dipendente che tiene questo comportamento, in realtà la legge lo consente e tutela
La diffamazione a mezzo stampa è un reato piuttosto grave. Infatti, il codice penale prevede 3 anni di reclusione e almeno 516 euro di multa. Spesso la Corte di Cassazione ha ritenuto che l’utilizzo dei social per scopo diffamatorio integrasse il reato dell’articolo 595 del codice penale. È recente il caso di due lavoratrici condannate per avere diffamato una collega utilizzando proprio Facebook.
Nel caso trattato, invece, la Corte conclude in maniera diversa. Infatti, secondo i giudici l’utilizzo da parte del dipendente dei social per denunciare condotte scorrette del datore di lavoro è legittimo. Più specificamente, la Cassazione giustifica questo comportamento perché consentito e tutelato dal diritto costituzionale alla libertà sindacale.
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