La pensione di reversibilità per una vedova è quello che spetta quando il deceduto è un pensionato. L’importo in genere è il 60% della pensione che percepiva il pensionato prima di morire. Ma non è una cifra fissa perché è collegata al possesso di altri redditi da parte del beneficiario o allo svolgimento di eventuali altri lavori da parte dello stesso. E l’assegno di reversibilità può calare da un anno all’altro. Ma non tutti sanno che c’è una clausola di salvaguardia che li tutela.
Redditi e lavoro incidono sulla reversibilità, ecco come
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Partendo dal dato fisso che la pensione di reversibilità è pari al 60% come la pensione indiretta per chi è erede di un defunto lavoratore non ancora pensionato, le riduzioni di assegno sono una costante per molti vedovi. Redditi e lavoro possono inevitabilmente provocare riduzioni della pensione. I redditi che incidono sulla prestazione non devono superare 20.429,37 euro. Sono le soglie 2022 naturalmente, che cambieranno l’anno venturo, probabilmente aumentando. Il parametro di riferimento è il trattamento minimo. E questo per il 2022 è pari a 525,38 euro al mese. Infatti il taglio della pensione di reversibilità è pari a:
- 25% su redditi sopra 1.576,14 euro al mese (3 volte il trattamento minimo);
- 40% su redditi sopra 2.101,52 euro al mese (4 volte il trattamento minimo);
- 50% su redditi sopra 2.626,90 euro al mese (5 volte il trattamento minimo).
Escludendo la parte di reddito relativa ai contributi previdenziali, i redditi che contano sono sempre tutti quelli assoggettabili all’IRPEF. Vanno esclusi anche i TFR eventuali e la casa di abitazione. C’è un adempimento a cui i titolari della pensione di reversibilità sono assoggettati. E serve proprio per consentire all’INPS di ricalcolare la prestazione. Ogni anno bisogna comunicare all’INPS eventuali cambi di situazione lavorativa e reddituale. La prestazione è una misura che serve per dare vantaggio a chi ha subito anche un calo di reddito oltre alla grave perdita.
Molti non lo sanno ma l’INPS non ha mano libera sui tagli
Se non si invia la comunicazione reddituale l’INPS può arrivare a sospendere la prestazione. Non sempre però l’INPS ha ragione da questo punto di vista. Infatti esiste una specie di salvaguardia che limita l’operato dell’Istituto. Il taglio della pensione di reversibilità non può essere sempre applicato da parte dell’Istituto Previdenziale. Molti non lo sanno ma l’INPS deve rispettare un vincolo preciso. I tagli possono essere applicati solo nel caso in cui il titolare della pensione di reversibilità è il coniuge o, in assenza di coniuge e figli, è un genitore o un fratello o una sorella. Se i titolari di assegno di reversibilità sono anche i figli insieme al coniuge superstite, il taglio della prestazione non è ammissibile.
In termini pratici, a prescindere dal reddito prodotto o dal lavoro svolto in cumulo con la pensione di reversibilità, nessun taglio può essere applicato all’assegno. Salvaguardia in ogni caso pure per le cifre del taglio. Quest’ultimo non può essere superiore a quello che spetterebbe se il reddito fosse superiore a quello della fascia immediatamente successiva come da schema prima descritto. Sugli importi quindi l’INPS non può scendere più di tanto riducendo il trattamento ai beneficiari.