Docente di Geopolitica del Medio Oriente, ha insegnato Storia contemporanea dei Paesi Mediterranei all’Università di Macerata dal 2006 al 2019 e in vari Master presso la SIOI (Società italiana per le organizzazioni internazionali). Michela Mercuri ha scritto diversi libri e vari articoli per riviste e quotidiani, nonché partecipato come opinionista esperta di geopolitica a diverse trasmissioni RAI e Mediaset. Mercuri affonda sui rischi e le conseguenze di una guerra economica che è già in atto e che a breve potrebbe degenerare in effetti logoranti per l’Occidente. Ci fornisce l’analisi critica dei vari scenari in Africa, degli interessi russi e occidentali in un Continente ormai conteso di cui la politica deve occuparsi. Prima che sia troppo tardi.
Uno dei suoi libri ha il titolo «Incognita Libia, cronache di un Paese sospeso». Era il 2019. Oggi questo titolo sembra attualissimo…
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«Il nord Africa, e la Libia in particolare, rappresentano un’area spesso dimenticata anche se osservata da un punto di vista politico. Così, dalle primavere arabe abbiamo lasciato che ogni Paese prendesse una sua traiettoria involutiva. La Libia è un interesse, basta guardare alla storia recente e ai trattati tra Gheddafi e Berlusconi. Senza Gheddafi, che certamente era un dittatore, la Libia si è destabilizzata e divisa all’interno. Ci sono tante milizie armate che combattono con armi fornite dall’Occidente. Di fatto, a governare sono le milizie che controllano anche i giacimenti di gas e petrolio». Ed è il caso che L’Unione Europea si occupi anche dell’Africa.
Quindi dovremmo ragionare con loro…
«Noi siamo dipendenti dal gas russo e dobbiamo diversificare. Con Di Maio, Draghi e l’AD dell’ENI siamo andati in Algeria per siglare protocolli. Ci sarebbe la Libia, che tramite il GreenStream che arriva a Gela potrebbe portare in Italia il 12/13% di gas, ma lo scorso anno è arrivato solo il 4%. Questo perché abbiamo a che fare con un Paese instabile. Le milizie aprono e chiudono. Non c’è un Governo, quindi dobbiamo guardare alla Libia come ad un’incognita che va risolta».
«L’Unione Europea si occupi anche dell’Africa» prima che ci colga di sorpresa, l’appello di Michela Mercuri. La Russia è presente da quelle parti?
«La Russia è presente in Libia con diverse compagnie imprenditoriali. Ma è molto presente anche in altre realtà dell’Africa, a Nord e nel Medio Oriente».
Perché? Quali sono gli interessi della Russia, che non ha certo bisogno di gas…
«Innanzitutto si tratta di una proiezione geopolitica che riguarda soprattutto il mare. La Russia è interessata agli sbocchi sul mare e ai mari caldi. È entrata in Libia e in Siria, ma è presente anche in altri Paesi, come il Camerun, anche per questioni energetiche. Infatti, sigla anche accordi energetici. Quindi non dobbiamo focalizzarci a guardare solo all’Ucraina, perché il conflitto si proietta anche altrove e in Africa in particolare. Qui già c’erano accordi per quanto riguarda gli armamenti, gli idrocarburi. Ad esempio, la Russia potrebbe estrarre petrolio dalla Nigeria e aggirare così le sanzioni». Anche per questo occorre che l’Unione Europea si occupi anche dell’Africa.
Anche noi abbiamo siglato accordi con l’Algeria… Ci incontreremo (o scontreremo) lì con la Russia?
«Noi abbiamo fatto un protocollo con l’Algeria che ci ha garantito che per quest’anno aumenterà le forniture energetiche di circa 8 miliardi di metri cubi. Ma l’Algeria ha anche accordi con la Russia per prospezioni nelle zone deserte. È un Paese che ha relazioni speciali con il Cremlino anche per il commercio di armi. Dobbiamo tener conto di questo contesto che, se sommato all’instabilità libica, comprendiamo non essere semplice. Ma è necessario per noi importare gas da queste realtà, anche se è difficile».
Insisto… Non ci sarà il rischio di uno scontro tra Occidente e Russia sul territorio africano?
«Una guerra con armi no. Una guerra economica invece è già in atto. Pensiamo al grano, perché l’Africa e il Medio Oriente sono dipendenti dall’importazione di cereali ucraini. Nei porti ucraini, come sappiamo, sono bloccati circa 4,5 milioni di tonnellate di grano che sarebbero destinati alla sponda Sud. Solo l’Egitto importa il 90% del grano, la Libia il 43%, la Tunisia il 47%. Con questo blocco, questi Paesi, che sono già poveri, di fronte anche all’aumento dei prezzi iniziano a protestare perché manca il pane. E le proteste automaticamente generano flussi migratori consistenti. È una guerra, economica ma è guerra»
Cosa se ne fa intanto la Russia di tutti i cereali che produce?
«Dunque, da un lato l’ex Unione Sovietica blocca i porti ucraini e comunque utilizza canali alternativi. Ad esempio, tramite terra vende alla Cina e sottobanco ad alcuni Stati africani. Quindi da una parte strozza l’economia ucraina e occidentale limitando la vendita del suo grano, però cerca canali alternativi verso altri Paesi. Si riorganizza».
Si parla anche di rafforzamento delle cellule terroristiche mentre siamo distratti dalla guerra, è così? E la Russia potrebbe farci qualche «dispetto» ingaggiando qualche Jihadista?
«Il terrorismo intanto non è mai morto, soprattutto in Libia, Siria e nel Sahel, dove ci sono molti campi di addestramento. Sicuramente ci sono cellule jihadiste nel Congo, nel Mali e si stanno riorganizzando perché c’è meno controllo da parte delle varie intelligence. Adesso siamo concentrati in un altro teatro e quindi il terrorismo si sta rafforzando anche e soprattutto tramite i nuovi fenomeni migratori, il traffico di petrolio e gas. Tutto in stretta correlazione con la criminalità organizzata. Per questo è importante non guardare solo ai confini ucraini, perché il Mondo è tutto collegato». E per evitare scomode sorprese, Mercuri dice: «L’Unione Europea si occupi anche dell’Africa».
La Russia ci sguazza?
«I mercenari russi che lavorano in alcune realtà africane hanno contatti con le cellule jihadiste perché lavorano nello stesso teatro. Hanno rapporti e in questo momento ci sono gruppi jihadisti che stanno combattendo anche in Ucraina. Stanno combattendo da una parte e dall’altra pagati dalla Russia. Pare abbiano contratti trimestrali e stiano combattendo in Ucraina, quindi una connection può esserci»
In questo scenario complesso, se potesse, cosa farebbe?
«Non ho la soluzione da bacchetta magica. Possiamo provare ad individuare soluzioni basandoci sui singoli problemi e tentare trattative, anche se la guerra sarà di logoramento. Al momento è difficile immaginare una soluzione immediata. Bisognerebbe affrontare un problema per volta. Ad esempio, per il tema migrazione è necessario che l’UE apra un piano di aiuti per l’Africa. Alcuni Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo hanno stanziato 22mila euro per l’Egitto.
Poi per l’energia dobbiamo puntare alle rinnovabili e nel frattempo fornirci da altri Paesi. Rispetto alla pace, abbiamo dimostrato di non saper mantenere in altri Paesi uno Stato di pace. Il punto è che, fino al 24 febbraio scorso, le guerre erano fuori il sistema. Adesso è in Europa e l’Unione deve cercare di essere unita e provare a mediare anche se la fine del conflitto non è alle porte. Andrà per le lunghe perché ci sono troppi interessi in gioco».
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