Come già scritto nella I parte di questa analisi di scenario, il nuovo ordine mondiale immaginato dalla Cina si fonda su tre iniziative globali. Esse sono la security initiative, la development initiative e la civilization initiative. Ecco la posta in gioco per Pechino. L’iniziativa globale per lo sviluppo progettata dalla Cina: cosa c’è di concreto?
Le tre iniziative globali
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Sebbene poco indagate e studiate dalla gran parte degli analisti, le cosiddette “Global Initiatives” messe in campo da Pechino meritano una particolare attenzione. Negli ultimi anni, infatti, la Cina ha inteso presentare sulla scena mondiale tre progetti geopolitici che ha voluto rappresentare, scevra dalle passate timidezze diplomatiche, come i tre pilastri del nuovo ordine mondiale “con caratteristiche cinesi”. Esse sono: (i) l’Iniziativa globale per la sicurezza: (ii) quella per lo sviluppo; ed ultima, ma non meno importante, (iii) quella per la civilizzazione. Nella I parte di questa analisi di scenario abbiamo scritto della prima delle tre “global initiative” di Pechino. Dopo aver quindi raccontato cosa la Cina intenda per iniziativa globale per la sicurezza, occorre comprendere la seconda iniziativa, la GDI o “Global Development Initiative”, che pone appunto al centro del discorso pubblico il tema dello sviluppo economico globale.
La Global Development Initiative (GDI)
Questa seconda iniziativa ha ricevuto minore attenzione in sede internazionale, forse perché a molti è sembrata una reiterazione della nota Belt and road initiative (BRI, o nuove vie della seta) inaugurata da Pechino nel 2013 ed i cui effetti tardano ad assumere una consistenza apprezzabile. Tanto è vero che l’ultimo forum mondiale sulla BRI organizzato da Pechino per supportare questo modello di sviluppo si è svolto nel 2019.
Ora quindi la diplomazia cinese tenta, con la Global Development Initiative, di riportare al centro dell’attenzione mondiale una nuova narrazione antagonistica, rispetto a quella occidentale. Vale a dire, il fallimento dei modelli di cooperazione economica con il sud del mondo, che secondo il APrtito Comunista Cinese sono condotti in maniera asimmetrica da un occidente neo-coloniale volto a sfruttare, come nel passato, i paesi del c.d. Global South.
I tentativi in sede Onu della diplomazia cinese
Sotto tale luce si possono quindi leggere gli sforzi compiuti dalla diplomazia di Pechino negli ultimi anni, particolarmente in sede Onu. Data infatti al settembre del 2021 la prima presentazione, sul proscenio internazionale, dell’iniziative cinese di sviluppo, avvenuta durante l’Assemblea generale delle Nazioni unite. In quell’occasione, per accreditare meglio a livello mondiale la propria iniziativa, la leadership cinese pensò di legarla alle politiche delle Nazioni Unite per raggiungimento, entro il 2030, dei Sustainable Development Goals.
Successivamente, nel giugno del 2022, il leader cinese Xi Jin Ping riprendeva il tema della Global Development Initiative dichiarando che “la GDI è stata avviata in un momento in cui Il divario Nord-Sud continua ad allargarsi, e stanno emergendo crisi nella sicurezza alimentare ed energetica”. Il concetto fu ribadito da Wang Yi, il direttore dell’Ufficio della Commissione Centrale per gli Affari Esteri del PCC, il quale affermava che “la GDI rappresenta una chiamata ed una forma di mobilitazione per attirare maggiore attenzione del mondo sul tema dello sviluppo e riportarlo al centro dell’agenda internazionale”. Si tratta, a ben vedere, del tentativo opportunistico cinese di ricercare un posizionamento strategico più accettabile per il mondo e più fruttuoso per Pechino, rispetto all’ormai decadente progetto delle nuove vie della seta.
L’iniziativa globale per lo sviluppo progettata dalla Cina: cosa c’è di concreto? La BRI, un gigante coi piedi d’argilla
E’ ormai chiaro che la BRI è un fallimento totale. L’autorevole rivista Forbes ha scritto: “Tutto il progetto è sempre stato una sorta di impresa mafiosa. Pechino si rivolgeva ai Paesi più poveri dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina, del Medio Oriente e della periferia dell’Europa offrendo prestiti per importanti progetti infrastrutturali – porti, collegamenti ferroviari, dighe, strade e simili. Le banche cinesi di proprietà statale avrebbero organizzato il finanziamento e gli appaltatori cinesi avrebbero eseguito i progetti e li avrebbero gestiti una volta completati. Se il Paese ospitante non avesse pagato, i progetti sarebbero passati sotto la proprietà cinese.
In ogni caso, Pechino ha acquisito influenza e un notevole potere sulle nazioni che si sono lasciate coinvolgere”.
Nell’ambito della BRI, la Cina ha erogato oltre 1.000 miliardi di dollari in circa 150 Paesi, diventando il più grande creditore ufficiale del mondo. Tuttavia, la BRI non ha mai avuto basi economiche. Il Dipartimento di Stato USA l’aveva accusata di essere “diplomazia vanagloriosa”. Cioè progetti mastodontici senza capacità redditizia.
In Sri Lanka, il porto di Hambantota non ha il traffico necessario per soddisfare i termini del prestito. Risultato: default. Il corridoio Cina-Pakistan ha prodotto un buco di 1,6 mld di dollari. Risultato: Islamabad è andata dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) per ottenere un aiuto.
Anche la leadership comunista si è arresa all’evidenza. Il Presidente Xi ha iniziato a descrivere la BRI come “sempre più complessa” e bisognosa di maggiori controlli sui rischi e sulla efficacia della cooperazione. Per essere il “progetto del secolo” è durato poco.