L’imputazione coatta nella procedura penale italiana: una riflessione sul ruolo del GIP e del PM

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Anche i più recenti casi di cronaca hanno evidenziato un particolare stato di tensione tra politica e magistratura. Nell’ambito di questi, è riemerso alla ribalta della cronaca un istituto processualpenalistico, definito imputazione coatta.

Il riferimento è al caso Delmastro, in cui il GIP, ovvero giudice delle indidagini preliminari, ha respinto la richiesta dl archiviazione avanzata dal Pubblico Ministero, richiedendogli invece di procedere a formulare l’imputazione.

In questo articolo non entriamo nel merito della vicenda giudiziaria, di cui sopra, ma vogliamo spendere alcune parole per spiegare in cosa consista questo strano istituto della imputazione coatta. Usiamo il termine strano in quanto il PM solitamente viene considerato libero di procedere con la formulazione di imputazioni o, invece, di richiedere l’archiviazione.

Ma, anche se il PM ritiene che un caso si debba archiviare, quindi non procedere con il processo, il GIP ha il potere di stabilire, invece, che il processo si debba fare. E domanda quindi al PM di definire le fattispecie da contestare all’accusato. In tali casi il PM è obbligato a proseguire il processo, anche contro il proprio parere.

Questo meccanismo giuridico solleva importanti questioni riguardo al ruolo e ai poteri del GIP e del PM, a prescindere dal caso concreto cui si applica, sopratutto sull’autonomia del PM come parte durante il processo.

La richiesta di archiviazione del PM e il ruolo del GIP

Durante l’indagine preliminare, il PM può presentare una richiesta di archiviazione, sostenendo che non siano emerse prove sufficienti per sostenere un’accusa nei confronti dell’indagato. Solitamente tale richiesta viene accolta e, in effetti, statisticamente è piuttosto infrequente il ricorso all’imputazione coatta.

Tuttavia, il GIP ha, in base al codice di procedura penale attualmente vigente, il potere di respingere tale richiesta e richiedere al PM di formulare un’imputazione. Questo avviene quando il GIP ritiene che vi siano elementi di reato sufficienti per giustificare un processo penale. Ma allora cosa succede? Come fa il PM a formulare un’imputazione in un caso in cui ritiene che non sussista una fattispecie di reato o quanto meno che l’indagato non ne sia responsabile?

La finalità dell’imputazione coatta

L’imputazione coatta ha l’obiettivo di garantire che nessun reato rimanga impunito a causa di una richiesta di archiviazione prematura da parte del PM in base ad una valutazione degli elementi probatori svolta troppo frettolosamente o senza la dovuta attenzione. Il GIP svolge quindi un effettivo ruolo di controllo sull’operato del PM, assicurandosi che le indagini siano approfondite e che siano esplorate tutte le prove disponibili prima di decidere se procedere con l’imputazione. Tuttavia un utilizzo di tale potere oltre certi limiti potrebbe far ipotizzare situazioni di abuso, eventualmente anche a fini politici, ed è questa una delle polemiche insorte in questi giorni tra magistratura e politica.

Controversie e critiche

L’imputazione coatta è oggetto di critiche e controversie. Alcuni sostengono che il potere del GIP di respingere la richiesta di archiviazione del PM e richiedere un’imputazione possa portare a un’allungamento eccessivo dei tempi processuali. Inoltre, alcuni temono che l’imputazione coatta possa essere utilizzata come strumento di pressione nei confronti dell’indagato, mettendolo in una posizione di svantaggio rispetto al PM, o possa addirittura essere strumento di indebite relazioni tra PM e GIP, nel caso in cui un PM, inviso per qualsivoglia motivo al GIP, abbia avanzato richiesta di archiviazione. Tema quindi particolarmente delicato, coinvolgente anche i rapporti tra magistrati.

La libertà del PM nella formulazione dell’imputazione

Nonostante il PM abbia inizialmente ritenuto che non vi fossero prove sufficienti per sostenere un’accusa e abbia presentato una richiesta di archiviazione, la decisione del GIP di richiedere un’imputazione coatta solleva la questione, in primis, della libertà del PM nel formulare l’accusa. In questa fase, il PM ha un certo grado di discrezionalità nel decidere se e come formulare l’imputazione, anche sulla base delle prove disponibili.

I criteri per la formulazione dell’imputazione

Nel prendere la decisione di formulare l’imputazione coatta, il PM dovrebbe essere guidato da criteri chiari e ben definiti. Oltre alla presenza di elementi di reato sufficienti, il PM dovrebbe valutare attentamente l’intero quadro probatorio, cercando di comprendere se esistano prove indiziarie o circostanze che potrebbero supportare l’accusa. La decisione dovrebbe essere presa nell’interesse della giustizia e del perseguimento dei reati, tenendo conto della possibilità che ulteriori indagini o prove possano emergere durante il processo penale.

Tuttavia, è importante che il PM agisca con responsabilità e rispetto per il principio di presunzione di innocenza. L’imputazione coatta non dovrebbe essere utilizzata come un mezzo per perseguire un’indagine senza prove concrete o per mettere a rischio le garanzie dell’indagato. La decisione di formulare l’imputazione dovrebbe essere basata su una valutazione accurata dei fatti e delle prove disponibili, nel rispetto dei principi fondamentali di equità e giustizia.

Ulteriori chiarimenti

Se quindi, avendo rivisitato a fondo il materiale probatorio, raccolto durante la fase delle indagini preliminari, il PM ritiene comunque che non vi siano elementi a carico dell’indagato, a nostro modo di vedere dovrebbe procedere, limitandosi a considerare gli elementi desunti dalla notitia criminis. E ovviamente resta libero, nel corso del dibattimento, di precisare che l’imputazione è stata formulata solo in quanto richiesta dal GIP, ma che a suo giudizio non sussistono elementi per arrivare ad una affermazione di responsabilità penale.

D’altra parte, ogni procedimento parte sempre da una notitia criminis che, tranne rarissime eccezioni, non contiene in se stessa elementi che ne contraddicano la fondatezza. In quanto tale, quindi, è la base per addivenire ad un’astratta formulazione di una o più fattispecie di reato, a prescindere dall’opinione che sulla fondatezza delle ipotesi accusatorie possa formularsi sulla base degli elementi raccolti in sede di indagini preliminari. E nel caso in cui la stessa notitia criminis contenga elementi contraddittori, il PM formulerà comunque l’accusa, ma per poi sottolineare che già rispetto a tale ipotesi la notitia criminis conteneva elementi contraddittori.

L’imputazione coatta nella procedura penale italiana: una riflessione sul ruolo del GIP e del PM. Conclusioni

La libertà del PM nella formulazione dell’imputazione coatta è un elemento cruciale nella procedura penale italiana. Nonostante inizialmente ritenga che non vi siano prove sufficienti, il PM ha la possibilità di rivalutare la situazione e decidere se presentare l’accusa sulla base di elementi di reato, prove indiziarie o circostanze che potrebbero emergere durante il processo. Tuttavia, è essenziale che il PM agisca in modo responsabile, assicurandosi che la decisione sia guidata da criteri chiari e rispettosi dei principi di giustizia e presunzione di innocenza. E qualora la sua opinione diverga totalmente da quella del GIP in merito alla fondatezza delle ipotesi accusatorie, dovrà evidenziarlo, precisando che l’imputazione è stata formulata solo considerando la mera ipotesi di reato, al netto di quanto emerso dalle indagini preliminari e da eventuali elementi, già emersi in base alla notitia criminis.

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