L’imprenditore fallito può assumere la carica di amministratore di S.r.l.

Suprema Corte

L’imprenditore fallito può assumere la carica di amministratore di s.r.l., non applicandosi, in via analogica, le cause di ineleggibilità e decadenza previste dalla disposizione di cui all’art. 2382 c.c., disciplinante il modello delle s.p.a.. Studiamo il caso.

Con una recente ordinanza, la Suprema Corte si è espressa sul tema delle cause di ineleggibilità e di decadenza dell’amministratore “Fallito”, tracciando una netta linea di differenziazione tra il modello delle s.p.a. e quello delle s.r.l, quale esito interpretativo della riforma del diritto societario del 2003.

L’Ordinanza del 16.09.2021 n. 25050, pronunciata dalla Corte di Cassazione Civile, rigetta entrambi i motivi di ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello, confermandone il contenuto motivazionale ed il merito.

I Giudici di secondo grado, segnatamente, avevano accolto il reclamo proposto dall’ex amministratore della società fallita e rigettato l’eccezione di nullità e/o inammissibilità del reclamo ex adverso sollevata, per difetto dei poteri gestori e di rappresentanza processuale, in capo all’amministratore.

In relazione ad ulteriore ma connesso profilo, la Corte d’Appello aveva affermato, revocando i provvedimenti adottati dal Tribunale, che “costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello della unitarietà della procedura concorsuale, diretto a tutelare l’interesse dei creditori alla concentrazione delle procedure”.

Pertanto, proposta l’istanza di fallimento dinnanzi al Tribunale dove ha sede l’imprenditore, anche quella di concordato preventivo va radicata dinnanzi allo stesso Giudice, senza che abbiano rilevanza alcuna i successivi trasferimenti d’azienda.

Muovendo dalle statuizioni della Corte D’Appello, i Giudici di Nomofilachia, nel confermarle, le motivano, da un lato, in stretta aderenza ai principi sottesi alla riforma del diritto societario voluta dal Legislatore e, dall’altro, rispettando il citato principio di unitarietà delle procedure concorsuali, scolpito dalla giurisprudenza di legittimità.

In ordine al primo profilo, che investe il primo motivo di ricorso per cassazione, la Suprema Corte afferma che non è applicabile il principio di analogia iuris, invocato dal ricorrente, per sostenere l’applicazione della disposizione di cui all’art. 2382 c.c., disciplinante le cause di ineleggibilità e decadenza degli amministratori di s.p.a., alle s.r.l.

La ratio sottesa al principio di diritto è da ravvisarsi, secondo i Cassazionisti, in ragioni di coerenza di sistema, secondo le quali è assente un rinvio della disposizione di cui all’art. 2382 c.c. alla disciplina delle s.r.l.. Il silenzio del legislatore va interpretato nel senso di non voler ricalcare, per le s.r.l, quelle cause di ineleggibilità e decadenza, ostative all’attività imprenditoriale che permeano il “topos” delle s.p.a..

La novella legislativa ha segnato una netta differenziazione della disciplina dei due tipi societari: Mentre quella delle s.p.a. resta ancorata al “Dogma” della rigidità, quella delle s.r.l. evolve verso l’elasticità.

L’imprenditore fallito può assumere la carica di amministratore di s.r.l.

In particolare, l’autonomia statutaria riconosciuta alle s.r.l. consente, in ogni caso, di introdurre nello statuto apposite clausole, che predispongano delle particolari cause di ineleggibilità e/o decadenza per gli amministratori delle società, nonché di prevedere, ai sensi dell’art. 2473 c.c., specifiche ipotesi di esclusione dei soci per “Giusta causa”, legate anche all’eventuale fallimento di uno dei componenti della compagine sociale.

Occorre, quindi, accertare la volontà dei contraenti, quale risultante dallo statuto societario, per verificare se abbiano inteso richiamarsi a cause di ineleggibilità o decadenza degli amministratori, o, piuttosto, svincolarsi da esse.

Il tutto, senza applicare, in via analogica, la disposizione di cui all’art. 2382 c.c. ed accordando prevalenza al principio dell’autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c., che consente la libertà nella contrattazione, il liberismo delle forme e l’atipicità dei contratti.

Liberismo ed elasticità, nelle forme e nei contenuti, che caratterizza la disciplina delle S.r.l, in contrapposizione a quella delle s.p.a., secondo la riforma voluta dal Legislatore nel 2003.

In tale prospettiva, si inserisce la volontà di non “sacrificare” l’imprenditore fallito, a meno che non lo preveda lo statuto societario, consentendogli di assumere la carica di amministratore di s.r.l, in omaggio ad un principio di conservazione della carica, che ha il suo retaggio in quello di conservazione del diritto.

Ciò posto, la Suprema Corte, non ravvisando alcuna clausola statutaria prevedente cause di ineleggibilità o decadenza dell’amministratore fallito, conferma la parte motivazionale della sentenza della Corte D’Appello, rigettando l’eccezione di nullità del procedimento, sollevata dalla curatela fallimentare, per carenza di legittimazione processuale dell’amministratore.

In ordine al secondo motivo di ricorso per cassazione, anch’esso rigettato dai Giudici di Nomofilachia, viene parimenti confermata, nel merito, la pronuncia di secondo grado, nella parte in cui richiama i principi di unitarietà delle procedure concorsuali, con conseguente  rigetto delle eccezioni sollevate dalla curatela fallimentare.

L’Ordinanza in commento disegna un sistema di diritto frammentario: da un lato, in materia societaria, una netta contrapposizione tra diversi modelli societari ed una relativa differenziazione della disciplina. Dall’altro, il richiamo a principi di unitarietà delle procedure, in ambito fallimentare e concorsuale, nonché strettamente processuale.

Sotto il profilo del diritto sostanziale, si annette prevalenza a principi di liberismo delle forme, di favor verso l’autonomia contrattuale, di atipicità e conservazione del diritto. In ambito processuale, il principio prevalente resta quello di unitarietà delle procedure.

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