L’impatto del nuovo modello organizzativo degli Enti

impresa

L’esercizio dell’attività d’impresa, in settori innovativi, diversificati e  informatizzati, ha determinato l’esigenza, per le societas, di dotarsi di una struttura organizzativa adeguata al raggiungimento degli obiettivi prefissi, di volta in volta. In tale contesto storico evolutivo, si colloca il Decreto Legislativo n. 231 8.06.2001, che ha introdotto nel nostro ordinamento un tertium genus di responsabilità, a carico degli Enti, nel novero dei quali sono sussumibili le società, contemplate dal codice civile.

A distanza di oltre vent’anni dalla Novella Legislativa, è opportuno interrogarsi sull’impatto della disciplina introdotta nella vita degli enti, sui risvolti applicativi, anche in sede giurisprudenziale, della stessa, sul raccordo tra questa e la più recente Legislazione in tema di crisi d’impresa.

L’impatto del nuovo modello organizzativo degli Enti, disciplinato dal Decreto Legislativo 8.06.2001 n. 231, sulla Legislazione italiana e sulla Giurisprudenza: Un terzium genus  di responsabilità, l’efficacia esimente dei modelli organizzativi, prospettive di coordinamento con il Nuovo Codice della crisi d’impresa. Studiamo il caso.

Al riguardo, il Decreto si pone come un freno alla diffusione del fenomeno della criminalità d’impresa o dell’impresa criminale, frutto dell’adeguamento ai principi di diritto vigenti, sul tema, nell’ambito della Comunità Europea ed imposti dall’ OCSE.

In particolare, la disciplina mutuata dal decreto ha realizzato un’armonizzazione con il diritto UE, nella misura in cui ha sancito il superamento del brocardo latino “Societas delinquere et puniri non potest”, di matrice medievale.

Superata, quindi, l’obsoleta idea secondo cui le società non possono delinquere né essere punite, si è  posto il problema della compatibilità tra la disciplina mutuata dal decreto con il principio costituzionale, di cui all’art. 27 Cost, per cui la responsabilità penale è personale, dal quale deriverebbe l’impossibilità ontologica, per l’Ente, di rispondere di reati commessi da persone fisiche, ancorchè di livello apicale.

La struttura del decreto, tuttavia, è tale da non entrare in frizione con tale principio storico, cardine del sistema della responsabilità penale, nel nostro Ordinamento.

Da un’interpretazione sistematica delle disposizioni in esso contenute, la dottrina e la Giurisprudenza dominanti hanno inferito alcune coordinate interpretative, in ordine: Alla natura giuridica della responsabilità degli Enti, all’ambito di applicazione della disciplina de quo ed alla rilevanza del modello organizzativo tipizzato dal decreto, come esimente da profili di responsabilità penale.

In particolare, si è acclarato il principio di diritto secondo il quale la responsabilità degli enti rappresenta un “ibrido”, a metà tra quella amministrativa e penale, condividendo aspetti dell’una e dell’altra.

Essa deriva dalla commissione, da parte di soggetti apicali o di sottoposti dell’Ente, di tassative fattispecie di reato, elencate nel testo del Decreto, tra le quali, a titolo esemplificativo: i reati contro la PA, i reati societari, di criminalità organizzata, abusi di mercato, delitti contro l’industria e il commercio, con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordinamento democratico, reati transnazionali, omicidi e lesioni colpose, in violazione della normativa posta a tutela della salute e della sicurezza del lavoratore, delitti in violazione del diritto d’autore, delitti informatici e trattamento illecito di dati.

In tal senso, si parla di responsabilità Amministrativa “da reato presupposto”, in quanto insorge a causa della commissione di un reato, appunto, presupposto, da parte di un soggetto (persona fisica) in posizione apicale o sottoposto dell’Ente.

L’impatto del nuovo modello organizzativo degli Enti

Si tratta, sostanzialmente, di una responsabilità di genere misto, perché coniuga aspetti del sistema sanzionatorio penale ed amministrativo: l’Ente è punito con sanzioni di natura amministrativa, in quanto risponde per “Responsabilità da organizzazione”, di natura amministrativa.

Tuttavia, il procedimento di accertamento dell’illecito e l’applicazione delle sanzioni è disciplinato dalle disposizioni del codice di procedura penale, in quanto compatibili.

La responsabilità della Persona Giuridica insorge, quindi, come diretta conseguenza della commissione di tassativi reati presupposti, solo se commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente, da soggetti con poteri di rappresentanza, direzione, amministrazione (“Soggetti apicali”) o da soggetti “sottoposti” alla loro direzione o vigilanza (dipendenti, consulenti ecc.).

La responsabilità penale rimane, invece, in capo alla persona fisica autore del reato, senza che venga violato il principio di personalità della responsabilità penale, di cui all’art. 27 Cost.

L’Autorità competente a constatare l’illecito è il Pubblico Ministero, mentre è il Giudice Penale ad emettere la sanzione ed irrogare la sanzione, in sede di procedimento penale. In concreto, le sanzioni previste sono di natura pecuniaria (da € 25.823 ad € 1.549.371), in proporzione alla gravità del reato ed alla situazione economica della società e interdittiva, da tre mesi a due anni, se la società ha realizzato profitti significativi o in caso di reiterazione dei reati. La sanzione interdittiva è, inoltre, sempre accompagnata dalla confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo la parte che può essere restituita al danneggiato. Essa, infine, può tradursi in: divieto di contrattare con le pubbliche amministrazioni, revoca di licenze, autorizzazioni, interdizione dall’esercizio delle attività, esclusione da agevolazioni, finanziamenti ecc.

In relazione all’ambito di estensione, la responsabilità dell’ente è a carico di tutte le società (di persone e capitali), delle associazioni, delle fondazioni e altri enti, anche se privi di personalità giuridica.

L’impatto del nuovo modello organizzativo degli Enti, quali riflessioni e conseguenze?

Il modello Organizzativo previsto dal Decreto 231/2001, quindi, è destinato a tutti questi soggetti, quale strumento idoneo ad escluderne o mitigarne la responsabilità e le sanzioni connesse. In concreto, per modello organizzativo si intende un complesso di norme comportamentali, finalizzate a ridurre il rischio del verificarsi di reati presupposti. Esso, inoltre, regolamenta l’Organismo di Vigilanza, che deve vigilare sull’applicazione, il rispetto e l’aggiornamento delle regole e dei principi definiti dal modello.

Nonostante i vantaggi dell’adozione del modello organizzativo siano plurimi, solo il 30% delle imprese esistenti sul territorio italiano lo hanno adottato. La residua percentuale lamenta difficoltà legate alla comprensione, fruibilità delle disposizioni contenute nel decreto e preordinate, appunto, all’adozione del modello.

A distanza di oltre vent’anni dall’entrata in vigore del Decreto, i vantaggi conseguenti alla dotazione, da parte degli enti, del modello organizzativo, si possono sintetizzare nei seguenti termini:

Miglioramento del feedback aziendale presso istituti di credito e fornitori istituzionali, adeguamento alle normative sui bandi di gara pubblici e privati, ottenimento di un punteggio di rating di legalità, maggiore protezione dei soggetti in posizione apicale, ai sensi della responsabilità prevista dal codice civile, garanzia del rispetto di disposizioni di legge cogenti, in materia di: sicurezza sul lavoro, privacy, antiriciclaggio ecc..), maggiore potere di contrattazione, agevolazioni fiscali e contributive, capacità di prevenire, rilevare ed evitare la crisi d’impresa, efficacia esimente da responsabilità penale.

Intorno a questi ultimi aspetti, si sono registrati interventi giurisprudenziali significativi, tra i quali:

L’assoluzione di Rete Ferroviaria Italiana S.P.A., sul presupposto del riconoscimento dell’efficacia esimente del modello organizzativo adottato dalla società, a fronte dell’imputazione per un reato colposo, a causa dei decessi di lavoratori nel settore ferroviario. L’assoluzione viene motivata, sino al grado di appello, sul presupposto per cui: Opera l’esimente di cui all’art. 7, comma 2, del d. lgs 231/2001, in combinato disposto con l’art. 30, comma 5 del Tusl, poiché l’istruttoria non ha provato che sussiste, in capo all’ente, il requisito della “colpa di organizzazione”.

Nasce, nel nostro ordinamento, un istituto nuovo: La colpa di organizzazione, che si affianca a quelli della colpa, lieve, lievissima e grave (in ambito medico-sanitario) e del dolo, nelle sue plurime connotazioni di rilevanza penalistica.

Sarà interessante esaminare gli sviluppi interpretativi dell’Organo di Nomofilachia sul punto, con particolare riguardo ai criteri, sulla base dei quali, è dato accordare efficacia esimente ai modelli organizzativi, nonché parametrare la colpa “da organizzazione”.

In relazione ad ulteriore ma connesso profilo, sul versante della prevenzione della responsabilità da reato presupposto, ovvero al di fuori del processo e volendo prescindere dalle sentenze, un passo importante è la pedissequa applicazione del Nuovo Codice della Crisi d’impresa, che, come noto, impone a tutte le imprese l’obbligo di dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili, finalizzati a rilevare situazioni patologiche dell’attività d’impresa.

L’impatto del nuovo modello organizzativo degli Enti

I modelli organizzativi contemplati dal Decreto 231/2001, quindi, vengono attualizzati dal Nuovo Codice della Crisi d’impresa, nella misura in cui consentono di evitare l’insorgenza della stessa. Essi assurgono a strumento di prevenzione dalla fase patologica dell’attività dell’ente, per il tramite del Nuovo Codice della Crisi d’impresa, a causa esimente o scusante da responsabilità per reati presupposti gravi ( omicidi colposi, persino sul posto di lavoro), una sorta di paradigma imprescindibile per il legale e redditizio esercizio dell’attività d’impresa.

Lettura consigliata

Azione di responsabilità promossa dalla curatela fallimentare

Consigliati per te