Le variabili geopolitiche condizionano da sempre la diffusione della ricchezza e del benessere, tanto nelle conseguenze macro, che in quelle microeconomiche. Già nel 1815 un certo Henry Rothworth costruì una ricchezza immensa dopo aver saputo in anticipo la vittoria degli Inglesi su Napoleone, ad aver acquistato masse ingenti di titoli di Stato britannico.
Oltre ai dati, esistono però bias comportamentali che condizionano irrazionalmente il nostro rapporto con l’estero e la possibilità di guadagnare con esso. Tanto più in questi anni, in cui termini quale deglobalizzazione e friendshoring (rimodulazione delle catene del valore globale verso Stati considerati affini geopoliticamente) sono in grande auge.
La reazione degli investitori potrebbe essere quella di considerare il cosiddetto “cortile di casa” come destinazione scontata degli investimenti. Nulla di nuovo sotto il sole, come osservava Robert Lucas nel 1990, all’apice della globalizzazione. È questo un comportamento razionale e foriero di guadagni? L’eterno paradosso sugli investimenti verso l’estero che condiziona la gestione dei nostri risparmi.
Il paradosso di Robert Lucas e la globalizzazione
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Un paradosso avviene quando tra la teoria e la pratica si verifica una incoerenza. Secondo la teoria economica tradizionale, ma anche secondo gran parte dei modelli più recenti, il capitale dovrebbe razionalmente fluire dai paesi sviluppati a quelli a basso e medio reddito. Non solo, la remunerazione del capitale, essendo scarso nei paesi sulla via del pieno sviluppo, dovrebbe essere maggiore, per un elementare interconnessione tra domanda ed offerta del bene (in questo caso, il capitale). Sul breve periodo questo avrebbe portato flussi di denaro verso questi Paesi, cui sarebbe conseguita nel medio termine una remunerazione elevata per i prestatori e, sul lungo termine, una progressiva convergenza delle economie del Mondo.
Eppure, empiricamente, si registra piuttosto l’andamento opposto: gli investimenti confluiscono verso i Paesi maggiormente sviluppati, tanto nelle abitudini degli operatori delle nostre latitudini, quanto in quelle delle economie a basso o medio reddito. Il paradosso di Lucas, enunciato nel 1990, continua ad affascinare gli studiosi, che hanno provato a spiegarne le ragioni.
L’eterno paradosso sugli investimenti verso l’estero che condiziona la gestione dei nostri risparmi
Sebbene il tasso di remunerazione per l’impiego di capitale continua ad essere decisamente più elevato nei Paesi a basso e medio reddito, alcune paure (talvolta irrazionali) intrappolano la mobilità degli investimenti: tra i maggiori, c’è l’asimmetria informativa, il timore di una scarsa qualità istituzionale, il rischio e l’incertezza sulla stabilità dell’economia del paese destinatario (si teme l’insostenibilità del debito pubblico). A completare le paure, le questioni riguardanti i tassi di cambio reali e la svalutazione della moneta. La soluzione, allora, dovrebbe essere quella di incentivare quegli investimenti che, nonostante le paure, si dimostrano affidabili e stabili. Aspetti che, razionalmente, seppur con alcune plateali eccezioni, sono però sempre più diffusi in qualsiasi mercato ed a qualsiasi latitudine.
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