Sbagliare è umano, perseverare è diabolico, così recita un famoso detto. Ed è quello che sembra replicarsi sulle pensioni e sull’operato del Governo. Negli anni, Governo dopo Governo, a prescindere dagli schieramenti, le novità sulle pensioni sono andate sempre verso il premiare chi ha avuto la fortuna di avere carriere lunghe e durature. Penalizzando chi invece non ha avuto la stessa sorte. Anche le nuove ipotesi che vanno verso la Quota 100 e la Quota 41 a partire dai 61 anni sono sempre indirizzate verso una platea particolare. E chi rischia di restare deluso anche dalle nuove misure è davvero una grande parte del mondo dei lavoratori.
Le nuove pensioni che tagliano fuori sempre i soliti contribuenti
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Perfino quando fu varata la tanto discussa Quota 100, c’era chi sosteneva che fosse una misura discriminatoria per una vasta platea di lavoratori. Il fatto che all’epoca, a fronte di una pensione a partire da 62 anni, si impose il vincolo dei 38 anni di contributi versati, fece subito discutere. Infatti con una carriera necessaria così lunga, i soggetti esclusi divennero quasi superiori, numericamente, a quelli inclusi. Tanto è vero che si parlava di una misura destinata a uomini e soprattutto a lavoratori statali. Dal momento che carriere lunghe e durature sono fattori che legano proprio con il lavoro statale e con quello degli uomini, inevitabile la polemica. In effetti anche i risultati della Quota 100 lo hanno dimostrato, con davvero poche lavoratrici che sono riuscite ad uscire dal lavoro con la nuova misura.
Errori a ripetizione anche nel 2023?
Anche per le nuove pensioni che tagliano fuori molti lavoratori il discorso è simile a quello che è successo anche con la Quota 102. Infatti anche la Quota 102 diventò simile alla Quota 100 come platea dei soggetti esclusi. Con quota 102 si salì di due anni come limite anagrafico, passando a 64 anni. Ma restò fermo il requisito dei 38 anni di contributi versati. Oggi si parla per esempio di due nuove misure che finirebbero però per causare gli stessi effetti. Per esempio la Quota 41 a partire dai 61 anni di età, non fa altro che incrementare il problema dal momento che come recita lo stesso nome della misura, servirebbero 41 anni di contributi versati.
Una cosa che è evidente lasci fuori chi una carriera lunga e continua difficilmente riesce ad averla. Le donne per esempio, costretta a sacrificare lavoro e carriera per la cura della famiglia e dei figli, sono sicuramente tra i contribuenti più penalizzati. E penalizzati sono anche stagionali e lavoratori discontinui, che svolgono attività sempre collegate a condizioni climatiche e stagionali a volte predeterminate ed a volte casuali. E pure la Quota 100 flessibile finirebbe nella stessa maniera. A 61 anni infatti potrebbero uscire solo quanti hanno completato 39 anni di contributi versati. Ancora una volta troppi anni di contributi versati. Ed a poco serve la possibilità di uscire con 65 anni di età e con 35 anni di contributi versati.