Le intimazioni derivanti da sentenza non possono considerarsi invalide per omessa motivazione sui parametri utilizzati per calcolare le somme dovute

sentenza

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 23163 del 22/10/2020, ha chiarito alcuni rilevanti aspetti in tema di motivazione degli atti tributari. Nella specie, la contribuente aveva proposto ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, che aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate.

I giudici di secondo grado non avevano condiviso quanto concluso dalla CTP in merito alla nullità delle intimazioni di pagamento, per mancata indicazione delle modalità di determinazione degli importi dovuti. Nel proporre ricorso in Cassazione, la contribuente lamentava quindi la violazione dei principi di diritto in materia di obbligo di motivazione degli atti tributari.

Il caso

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Nei due avvisi di intimazione impugnati mancava infatti, a suo avviso, la determinazione visibile degli importi dovuti. E questo perché il calcolo delle imposte, interessi e sanzioni era noto solo all’ufficio. I due avvisi erano infatti riferiti ad una sentenza in attesa di pronuncia da parte della Cassazione. Con somme ridotte dai giudici di merito rispetto agli avvisi di accertamento. E tali somme non risultavano specificate con riferimento alle imposte, agli interessi ed alle sanzioni, in tal modo rimanendo violato il diritto di difesa, tutelato dall’art. 24 della Costituzione.

Le intimazioni derivanti da sentenza non possono considerarsi invalide per omessa motivazione sui parametri utilizzati per calcolare le somme dovute. La decisione

Secondo la Suprema Corte il ricorso era infondato. L’obbligo motivazionale di un atto impositivo, affermano i giudici, ha lo scopo di tutelare il diritto del contribuente a difendersi in ordine al fondamento di una pretesa fiscale.

Ma, nella specie, le due intimazioni di pagamento conseguivano ad una decisione intervenuta in un precedente contenzioso, avente ad oggetto gli accertamenti ad esse presupposti. Laddove siano indicati gli estremi degli atti presupposti, le intimazioni derivanti da sentenza non possono considerarsi invalide per omessa motivazione sui parametri utilizzati per calcolare le somme dovute.

E del resto, rileva la Corte, la contribuente, proprio per averli puntualmente contestati, aveva dimostrato di averli ben presenti. Anche considerato che le due intimazioni contenevano un chiaro riferimento agli avvisi di accertamento, così come ridotti in suo favore da precedente sentenza.

Osservazioni

In conclusione, a prescindere dallo specifico caso processuale, vi è senz’altro una generale obbligatorietà della motivazione degli atti impositivi. La pretesa tributaria deve contenere, quindi, tutti gli elementi indispensabili per porre il contribuente in condizione di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione.

Tale obbligo deriva infatti dai principi generali prescritti, per ogni provvedimento amministrativo, dall’art. 3 della L. 241/90, recepiti, per la specifica materia tributaria, dall’art. 7 della L. 212/2000. Sussiste però una diversa modulazione di tale onere a seconda che si verta sul primo atto impositivo, ovvero su atto consequenziale ad una pretesa tributaria già nota al contribuente.

Come appunto accade nel caso di un atto impositivo che faccia seguito ad una sentenza, al cui giudizio lo stesso contribuente abbia partecipato. In tal caso, infatti, il contribuente ha la piena conoscenza dei presupposti della pretesa e dunque non può verificarsi, in concreto, alcuna lesione del diritto di difesa.

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