Le regole per andare in pensione in Italia sono tante e spesso poco conosciute. Un luogo comune che per molti è un dato di fatto è che le donne sono penalizzate dal punto di vista pensionistico. In primo luogo perché effettivamente gli uomini hanno maggiore facilità nel trovare lavoro. E poi perché spesso le donne devono scegliere tra carriera e famiglia.
In sostanza, trovare lavoratrici che hanno carriere talmente lunghe da consentire il pensionamento anticipato ordinario con 41 anni e 10 mesi di contributi, è difficile. Come lo è raggiungere la Quota 41, Opzione donna con 35 anni di versamenti o l’APE sociale con 30 o 36 anni di carriera contributiva. Addirittura ci sono donne che a stento arrivano a 20 anni, che resta la contribuzione minima per le pensioni di vecchiaia ordinarie. Per esempio le casalinghe. Ma in alcuni casi alle lavoratrici l’INPS riserva un trattamento favorevole. Spesso le casalinghe e le lavoratrici possono anche scegliere se andare in pensione prima o prendere un assegno più alto.
Anni di età e contributi
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La pensione di vecchiaia ordinaria non ha più differenze di genere. Infatti dopo la riforma Fornero i vantaggi per le lavoratrici sono venuti meno. Fino al 2011 la pensione di vecchiaia per le lavoratrici si centrava a 60 anni di età per quelle del settore privato e a 61 anni per le statali. E raggiungendo i già citati 20 anni di contributi. Gli uomini invece uscivano a 65 anni. Oggi la pensione di vecchiaia per tutti è fissata a 67 anni di età e 20 anni di contributi. Per le donne però c’è una possibilità in deroga ai requisiti ordinari della vecchiaia. Infatti possono lasciare il lavoro a 66 anni le lavoratrici che hanno avuto almeno 3 figli. Ma devono essere le stesse lavoratrici a scegliere questa strada. Perché l’anno di anticipo si può “barattare” con un assegno pensionistico più alto, uscendo a 67 anni.
Le casalinghe e le lavoratrici possono anche scegliere se andare in pensione prima o prendere un assegno più alto
Casalinghe e lavoratrici in pensione un anno prima se hanno avuto tre o più figli. E questo dipende dalla normativa vigente che consente alle donne questo genere di vantaggio. Ma esiste anche la possibilità di fare cassa, godendo di un trattamento economico più favorevole. Tutto dipende da quella specie di maggiorazione contributiva prevista per le lavoratrici madri. Le maggiorazioni in genere producono un surplus contributivo in accredito per i lavoratori. Per le lavoratrici madri invece si tratta di uno sconto di 4 mesi a figlio avuto fino a 12 mesi massimo, sull’età anagrafica utile alla quiescenza di vecchiaia. Ma solo se il primo versamento contributivo è successivo al 31 dicembre 1995. Come alternativa le interessate possono scegliere di lasciare l’uscita a 67 anni, ma facendosi calcolare la pensione con il coefficiente previsto per i 68 o 69 anni.
Le lavoratrici madri, la cui pensione è liquidata dall’INPS col sistema contributivo, possono chiedere l’applicazione del coefficiente valido a 68 anni se hanno avuto uno o due figli, o quello valido a 69 anni se hanno avuto tre o più figli. A 67 anni il montante dei contributi versati e rivalutati viene passato per il coefficiente 5,72%. Significa che una lavoratrice con 20 anni di contributi e stipendio da 20.000 euro annui in media (132.000 euro circa di montante con l’aliquota 33%), uscendo a 67 anni senza maggiorazione, avrà 7.550 euro di pensione. Se usa il coefficiente a 68 anni, pari al 5,93% avrà 7.827 euro di pensione. Se invece si utilizza quello a 69 anni si passa a 8.118 euro di pensione. Naturalmente parliamo di pensioni annuali.