Tra gli eventi negativi ma per niente rari durante un rapporto di lavoro, ci sono senza dubbio gli infortuni. Le notizie di cronaca purtroppo sono stracolme di notizie relative a infortuni sul lavoro che spesso sfociano in autentiche tragedie. In Italia la normativa vigente tutela di infortuni sul lavoro. E c’è un ente preposto proprio a tutelare il lavoratore vittima di queste spiacevoli situazioni, cioè l’INAIL. La normativa vigente sul lavoro, richiamando anche a quanto stabilisce la Costituzione, tutela sia il lavoro che la salute di un lavoratore. Ma non è raro che un lavoratore che ha subito un infortunio subisca oltre al danno la beffa del licenziamento.
Ultimamente però i Tribunali stanno garantendo sempre di più il lavoratore e non il datore di lavoro. Ci sono notizie infatti di autentici risarcimenti record per i lavoratori, soprattutto per chi ha finito con il perdere il lavoro ed essere licenziato dopo l’infortunio. Questo perché un datore di lavoro è tenuto a mettere il lavoratore dipendente e suo subordinato, nella migliore condizione possibile durante l’attività lavorativa. Parliamo naturalmente di sicurezza sul posto di lavoro. E se qualcosa da questo punto di vista non va, i rischi per il datore di lavoro sono enormi.
Lavoratore licenziato dopo infortunio ma con risarcimento di 300.000 euro
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Il lavoratore è tutelato da questo punto di vista e a dimostrazione di questo una recente storia che ha avuto come sede il Veneto. Ad un lavoratore che è stato licenziato dopo aver subito un infortunio sul lavoro, un giudice ha concesso un risarcimento di circa 336.000 euro. Cifra questa, ulteriore rispetto al normale emolumento dell’INAIL che ha risarcito a parte il lavoratore. Nel caso specifico, è stato un lavoratore del padovano ad ottenere questo risarcimento record. Dopo dieci anni di lungaggini burocratiche oltre che di interventi chirurgici e ingressi continui in ospedale, il dipendente ha ottenuto un risarcimento record dal suo vecchio datore di lavoro.
In pratica, il lavoratore aveva subito un infortunio piuttosto serio ad un polso per colpa di un tubo metallico che gli aveva fratturato l’arto. Per colpa di questo infortunio, la commissione medica aveva decretato il 24% di invalidità permanente al lavoratore, con annesso il 40% di riduzione della capacità lavorativa futura. Dopo gli interventi chirurgici e vista la sua menomazione, l’azienda lo ha licenziato. E da quel giorno non ha più avuto possibilità di lavorare, nemmeno in altre aziende e nonostante l’iscrizione nelle liste del collocamento tra le categorie protette.
Perché il Giudice ha dato ragione al lavoratore
Il lavoratore ha impugnato il licenziamento e fatto causa all’azienda sostenendo la responsabilità di quest’ultima nell’infortunio, naturalmente per carenza delle misure di sicurezza nella sede di lavoro. Infortunio che invece secondo l’azienda era stato causato da negligenza del lavoratore. In ogni modo, il giudice ha accettato le istanze del lavoratore, sostenendo che gli strumenti di sicurezza offerti dall’azienda al lavoratore erano inferiori a quelli minimi previsti. E in questo caso condannato l’azienda a risarcire il lavoratore oltre che del danno da invalidità permanente subito, anche per quello della riduzione perenne della capacità lavorativa. Un risarcimento record da 336.000 euro che sicuramente creerà un precedente a livello di giurisprudenza. Un lavoratore licenziato dopo infortunio adesso potrebbe richiamare a questo precedente per motivare le sue ragioni.
Tutta colpa dei guanti
Nel caso di specie, l’azienda forniva ai lavoratori dei guanti anti scivolo. Guanti che secondo il lavoratore ricorrente perdevano di efficacia dopo poche ore di lavoro. Ed è proprio sulla mancata fornitura di strumenti utili a garantire la sicurezza sul lavoro che il Tribunale ha deciso di condannare il datore di lavoro. Ciò che nella condanna fa più notizia però è la cifra del risarcimento, perché dentro ci sono anche i danni permanenti per il lavoratore, in primo luogo quelli che non permettono più di trovare lavoro allo stesso. In una fase di carenza di posti di lavoro è evidente che il lavoratore adesso venga considerato ancora più debole.
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