L’Argentina, in situazione economica di quasi default, si appresta ad entrare nella banca dei Brics

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Dilma Roussef ha annunciato che l’Argentina sarà accettata come prossimo membro della banca dei Brics durante la riunione plenaria che si terrà nel mese di agosto in Sudafrica. Ma Buenos Aires ha sottovalutato i rischi dell’esposizione alla trappola del debito cinese.

Da quando, nel marzo 2023, l’ex Presidentessa del Brasile, Dilma Roussef, ha assunto la guida della New Development Bank, meglio nota come la banca dei Brics, si è registrato un certo attivismo nelle sue politiche di inclusione. L’Argentina è il più recente acquisto della NDB.

Per le disastrate casse argentine, l’adesione alla NDB suona come un salvagente lanciato nel mare di un possibile crack finanziario in cui Buenos Aires rischia di affogare.

L’Argentina, in situazione economica di quasi default

Infatti, a fronte di un’inflazione superiore al 100 per cento, la banca centrale argentina non disporrebbe quasi più di riserve liquide, secondo le stime degli economisti locali.

Il Brasile si è fatto promotore attivo per l’inclusione del vicino sudamericano nel board della banca, e gli altri membri hanno già dato un preventivo assenso a tale ingresso.

L’annuncio della Roussef, dato direttamente dalla sede di Shangai della New Development Bank, giungeva proprio durante il viaggio in Cina del Ministro dell’Economia argentino, Sergio Massa, che dopo un passaggio a Shangai si è recato a Pechino per chiedere un ulteriore supporto finanziario al Dragone.

Nella capitale cinese, il ministro dell’Economia argentino ha negoziato il rinnovo di linee swap per un ammontare di 18 miliardi di dollari, di cui da 5 a 8 miliardi potrebbero essere utilizzati per intervenire sui mercati monetari.

I colloqui

I colloqui con la Cina arrivano mentre Massa sta anche rinegoziando il programma argentino da 44 miliardi di dollari con il Fondo Monetario Internazionale, con l’obiettivo di ottenere un più consistente anticipo dall’organismo con sede a Washington, dopo che quest’anno una siccità estrema ha colpito il settore agri-food, aggravando ulteriormente la crisi economica del paese.

Da notizie filtrate dal governo argentino pare che Buenos Aires pagherà la sua quota di entrata nel board, pari a 250 milioni di dollari, in titoli di Stato che al momento hanno un valore poco più che simbolico. Poco, se paragonata alla capacità di finanziamento che può essere messa in campo dalla banca dei Brics attualmente stimata sui 50 miliardi di dollari Usa ed in procinto di raddoppiare a 100 miliardi.

L’Argentina conta quindi di ricevere prestiti per alimentare l’interscambio commerciale, soprattutto con il vicino brasiliano, da regolare con valuta nazionale, diminuendo così la necessità di valuta statunitense per l’importazione di beni e servizi dall’estero.

Le strategie

La strategia geo-economica del blocco dei Brics prosegue dunque verso tentativi di de-dollarizzazione del commercio globale, per ora di entità modesta ma che meritano un attento monitoraggio.

Come già riportato in precedenza, durante il prossimo meeting del board che guida la banca dei Brics si attende l’ingresso di altri membri, oltre all’Argentina, vale a dire l’Arabia Saudita e di una nazione africana che sembra possa essere lo Zimbabwe, paese confinante con il Sudafrica, già membro della banca.

Si andrebbe quindi consolidando un fronte di paesi, molti dei quali appartenenti al c.d. global south, che sta cercando vie alternative ai sistemi di finanziamento e di pagamento di matrice occidentali, quali il Fmi, la Banca mondiale ed il sistema Swift. Ma sui Brics aleggia il protettorato di Pechino.

Negli ultimi dieci anni, la Cina ha prestato somme ingenti ai Paesi nell’orbita dei Brics diventando uno dei maggiori creditori del mondo. Tra il 2008 e il 2021, la Cina ha speso 240 miliardi di dollari per salvare 22 Paesi che sono “quasi esclusivamente” debitori del progetto infrastrutturale Belt and Road, secondo uno studio pubblicato dalla Banca Mondiale, della Harvard Kennedy School, dell’Istituto Kiel per l’economia mondiale e del laboratorio di ricerca statunitense AidData.

L’ascesa di Pechino come gestore di crisi internazionali sembra familiare: Gli USA hanno adottato una strategia simile per quasi un secolo, offrendo salvataggi a Paesi ad alto debito come quelli dell’America Latina durante la crisi del debito degli anni ’80, sottolinea il rapporto.

A dispetto delle fanfare dell’antagonismo antiamericano, è bene dire che la narrativa sulla de-dollarizzazione nasconde nulla più che la trappola del debito cinese.

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