La rivalutazione dei beni rileva ai fini del test di operatività per le società di comodo

Corte di Cassazione

La rivalutazione dei beni rileva ai fini del test di operatività per le società di comodo. Studiamo il caso.

 La Cassazione, con l’Ordinanza n. 17371 del 19/08/2020, ha affermato rilevanti profili in tema di disciplina delle cosiddette società di comodo. Nella specie, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso un accertamento, con il quale, applicando il test di operatività di cui all’art. 30, L. 724/94, rideterminava il reddito dichiarato da una società. In particolare, rielaborando i dati forniti con le dichiarazioni corrette dall’Agenzia delle entrate la società risultava infatti “non operativa” con il conseguente obbligo di dichiarare il reddito minimo presunto. La società contribuente impugnava l’avviso in riferimento alla contestazione riguardante il valore da prendere a base per il calcolo del test di operatività con riguardo all’importo relativo ad “Altre Immobilizzazioni”.

Tali immobilizzazioni erano riferite al marchio societario, in relazione al quale la società aveva effettuato operazioni di rivalutazione. La contribuente contestava dunque l’operato dell’Agenzia sul rilievo che il valore corretto da prendere a base del calcolo sarebbe dovuto essere il costo storico, e non il valore rivalutato. La CTP accoglieva il ricorso, ritenendo che le immobilizzazioni andassero iscritte in bilancio al costo di acquisto e che, ai fini fiscali, eventuali deroghe sono consentite solo se espressamente previste. La CTR confermava poi la decisione di primo grado.

Il ricorso per cassazione

L’Amministrazione finanziaria proponeva infine ricorso per cassazione, censurando la decisione laddove era stata esclusa la rilevanza della rivalutazione delle immobilizzazioni per l’acquisto del marchio della società. L’Agenzia deduceva come non fosse corretto ritenere tale rivalutazione meramente contabile e civilistica e che, ai fini del test di operatività, dovesse essere considerato soltanto il valore di acquisto. Rilevava in particolare l’Ufficio che il principio che nella determinazione del costo del bene non si deve tener conto delle plusvalenze iscritte in bilancio trovava deroga nella legge n. 342/2000, sulla base della quale era stata operata la rivalutazione. L’art. 12 della stessa legge, infatti, consentiva di adeguare, mediante il pagamento dell’imposta sostitutiva, i valori civili e fiscali di determinate categorie di beni tra cui le immobilizzazioni immateriali. E del resto, secondo la ricorrente, era comunque onere della società dimostrare che la rivalutazione del marchio si sottraeva all’applicazione della citata legge.

La decisione

Secondo la Suprema Corte la censura era fondata. Evidenziano i giudici che nella specie era possibile procedere ad una rivalutazione dei beni d’impresa, nonché delle partecipazioni, dietro pagamento di un’imposta sostitutiva calcolata sui maggiori valori iscritti in bilancio. E il maggior valore attribuito in sede di rivalutazione si considerava fiscalmente riconosciuto, ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap. E dunque la CTR aveva erroneamente ritenuto che l’iscrizione a bilancio del bene rivalutato non avesse alcun rilievo fiscale. La rivalutazione dei beni rileva ai fini del test di operatività per le società di comodo. E il mancato superamento del test di operatività comporta dunque l’obbligo di dichiarare il reddito minimo presunto, dovendosi considerare la rivalutazione del marchio ai fini del valore fiscale.

Osservazioni

Si ricorda che, in tema di società di comodo, lo «status» di società non operativa risultante dall’applicazione dei parametri di legge, non è permanente, ma va accertato anno per anno. Una società, infatti, può essere non operativa in un determinato esercizio sociale ed operativa in quello successivo e viceversa. La Cassazione ha già peraltro chiarito che la normativa si limita a stabilire una presunzione superabile con la prova contraria. Spetterà quindi al contribuente dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e specifiche, indipendenti dalla sua volontà, che hanno reso impossibile il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto. L’art. 30 della L. n. 724/1994 è norma antielusiva, volta a disincentivare il ricorso all’utilizzo dello strumento societario come schermo.

Ma, quanto alla nozione di “impossibilità” di conseguire il reddito presunto, questa va intesa non in termini assoluti, quanto piuttosto in termini economici, con riguardo alle effettive condizioni del mercato. Si ricorda peraltro che il Provvedimento direttoriale AE dell’11 giugno 2012 ha individuato alcune situazioni oggettive, in presenza delle quali è possibile disapplicare automaticamente la disciplina delle società di comodo. Tra le cause di disapplicazione vi sono, ad esempio, il trovarsi nel primo periodo d’imposta, o in un periodo d’imposta precedente all’inizio delle procedure concorsuali. O, ancora, l’essere la società sottoposta a sequestro penale o a confisca, etc.

Consigliati per te