La redazione del bilancio deve soddisfare sempre “la correttezza giuridica” dell’informazione resa, ovvero informarsi ai principi di chiarezza, correttezza e verità, contemplati dall’art. 2423 c.c.
In particolare, nelle società di capitali, le regole di redazione del bilancio sono norme giuridiche cogenti, tratte da principi contabili, cui si assegnano fondamentali compiti organizzativi dell’impresa, a tutela dell’interesse dei soci e dei terzi. Da qui, discende la necessità che l’ordinamento detti regole precise di redazione del documento.
I criteri di redazione del bilancio risultano preordinati alla soddisfazione di plurime e diverse esigenze, tra le quali: la tutela dell’affidamento dei terzi nella solidità dell’impresa, cui si ispira il tradizionale criterio della prudenza; nella direzione opposta, di recente emersione, la necessità di non sottostimare lo stato patrimoniale dell’impresa, allo scopo di permettere l’evidenza dei valori reali dell’azienda. A quest’ultima esigenza si ispirano i criteri redazionali del fair value e quelli, analoghi o derivati, ad essi connessi.
La riserva costituita ai sensi dell’art. 2426, comma 1, n. 4, dalle plusvalenze, derivanti dalla valutazione delle partecipazioni in imprese controllate, ha natura di riserva non distribuibile, utilizzabile per la copertura delle perdite solo in via residuale. Studiamo il caso.
In generale, la disciplina di diritto positivo mostra una traslazione dall’idea tradizionale del capitale sociale minimo, quale strumento di tutela del ceto creditorio, a quella dell’affidamento di tale ruolo all’equilibrio finanziario ed alle capacità di reddito dell’impresa.
In tale conteso normativo evolutivo, si pone il tema dell’ambito della discrezionalità tecnica di cui può disporre la magistratura nell’interpretazione delle regole cogenti di redazione del bilancio.
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La questione si è posta, di recente, dinnanzi all’Organo di Nomofilachia, a seguito dell’impugnazione esperita da una società, avverso la sentenza definitiva e non definitiva pronunciata dalla Corte d’Appello di Roma, di conferma di quella del Tribunale e di rigetto dell’appello. La Corte aveva, sostanzialmente, con sentenza non definitiva,confermato la decisione del Tribunale, in ordine all’avvenuta violazione della disposizione di cui all’art. 2426 comma 1, n. 4, c.c., relativamente ai criteri di valutazione delle partecipazioni in patrimonio ed alla necessaria destinazione della plusvalenza ad una riserva non disponibile.
La Suprema Corte, dopo aver disposto la riunione dei ricorsi proposti dalla società avverso la sentenza non definitiva, nonché contro la pronuncia di definizione del giudizio di secondo grado, esamina la seguente quaestio iuris: Se e, in caso di risposta affermativa, a quali condizioni, sia legittimo l’utilizzo, a copertura delle perdite d’esercizio, della riserva non distribuibile, costituita, ai sensi dell’art. 2426, comma 1, n. 4 c.c., mediante la valutazione alla stregua del criterio del patrimonio netto, ( in luogo che in base al criterio del costo di acquisto, prescritto dal n. 1 della citata disposizione), delle partecipazioni in società controllate, la quale ( valutazione) abbia fatto emergere una plusvalenza, iscritta nell’ambito della riserva de quo.
La riserva costituita ai sensi dell’art. 2426, comma 1, n. 4, dalle plusvalenze ha natura di riserva non distribuibile
Con la sentenza n. 15087, del 12 Maggio 2022, della I Sezione Civile, la Corte di Cassazione risolve la questione giuridica controversa, pervenendo all’enucleazione del seguente principio di diritto: In tema di società di capitali, la riserva costituita, ai sensi dell’art. 2426, comma 1, n. 4, c.c. dalle plusvalenze, derivanti dalla valutazione delle partecipazioni in imprese controllate, secondo il criterio del patrimonio netto, ha natura di riserva non disponibile, basandosi su un valore solo stimato e non ancora realizzato e può essere utilizzata per la copertura delle perdite solo dopo l’assorbimento di ogni altra riserva distribuibile iscritta in bilancio.
Per tale via, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito, che aveva dichiarato nulla la delibera di approvazione del bilancio e della distribuzione di dividendi ai soci, sul presupposto per cui era stata imputata a copertura delle perdite la riserva non distribuibile, sebbene fossero iscritte ulteriori riserve disponibili, che avrebbero dovuto essere assorbite prioritariamente.
La pronuncia del Giudice di Nomofilachia, sostanzialmente, sancisce la natura non distribuibile della riserva, costituita dalle plusvalenze, di cui all’art 2426, comma 1, n. 4, sul presupposto giuridico per cui essa non rappresenta, con chiarezza, veridicità e correttezza la reale situazione reddituale e finanziaria dell’impresa, riflettendo dei valori solo stimati, non dei valori di effettivo realizzo.
Tuttavia, il Giudice del diritto inferisce dall’ enunciato principio di diritto un innovativo postulato interpretativo, ancorchè non espresso nel dispositivo della sentenza
Quello dell’utilizzabilità della riserva non disponibile, nel senso sopra precisato, in via sussidiaria e residuale, ovvero dopo l’eventuale assorbimento di ogni altra riserva iscritta in bilancio.
La sussidiarietà nell’impiego della riserva de quo è espressione della corrente ermeneutica innovativa ed evolutiva, rispettosa della voluntas del Legislatore nazionale e della Legislazione Europea, in materia di tecniche redazionali di bilanci, improntata non solo alla tutela delle ragioni creditorie (dei terzi), ma anche alla necessità di rappresentare, per mezzo del bilancio d’esercizio, l’effettività dei valori reddituali dell’impresa.
A tal proposito, può parlarsi di riserva distribuibile in via sussidiaria e residuale, anziché non distribuibile in senso assoluto. Una sorta di non distribuibilità della stessa, a copertura delle perdite, in senso relativo, riflesso della discrezionalità accordata alla Magistratura, pur nell’interpretazione di norme, quali quelle afferenti alla redazione del bilancio, cogenti.
La discrezionalità, di matrice amministrativa, assurge a misura e limite di norme di diritto imperative, secolari, strettamente civilistiche, ancorchè propriamente contabili, quale criterio d’interpretazione giurisprudenziale idoneo a soddisfare le plurime esigenze di una realtà, quale quella aziendale, in continua evoluzione.
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