La revocatoria fallimentare dei pagamenti, eseguiti in favore del creditore pignoratizio ed il principio della par condicio creditorum. Le Sezioni Unite affermano la legittimità dell’insinuazione al passivo del fallimento, da parte del creditore che ha subito la revocatoria, con il medesimo privilegio.
Studiamo il caso.
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Il rimedio dell’azione revocatoria, ordinaria e fallimentare, è tipizzato dal Legislatore allo scopo di non ledere il principio della garanzia generica patrimoniale, consacrato dall’art. 2740 c.c.
In base a quest’ultimo, la responsabilità patrimoniale del debitore non ha limiti, se non nei casi contemplati espressamente dalla Legge. I creditori hanno diritto di veder soddisfatte le loro ragioni creditorie, in base al principio della par condicio creditorum, secondo precise regole distributive e fatte salve le cause legittime di prelazione.
Il nostro ordinamento giuridico prevede una serie di strumenti finalizzati a tutelare i diritti di credito, nell’ambito dei quali è sussumibile l’azione revocatoria, disciplinata dall’art. 2901 c.c., l’azione revocatoria fallimentare, di cui al secondo comma dell’art. 67 L. Fall., che rappresenta una species della prima, nonchè, sotto il profilo processuale, il pignoramento e l’espropriazione, nelle sue diverse tipizzazioni.
Il coacervo delle disposizioni legislative, generali e speciali, preordinate a tutelare il creditore, nella fase strettamente processuale civile, vede il debitore subire passivamente il giudizio.
La revocatoria fallimentare dei pagamenti, eseguiti in favore del creditore pignoratizio ed il principio della par condicio creditorum
Sotto il profilo soggettivo, tuttavia, assume rilevanza, al fine di tutelare il debitore, l’elemento psicologico che sorregge gli atti di disposizione del patrimonio da questi compiuti.
In particolare, con riguardo alla revocatoria fallimentare, mette conto evidenziare che la revocatoria degli atti contemplati dalla disposizione di cui all’art. 67, comma II, L. Fall. è subordinata all’accertamento della “Scientia decoctionis”, ovvero della consapevolezza, da parte del creditore, dello stato di insolvenza del debitore.
La questione giuridica è stata oggetto di una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione Civile (n. 5049 del 16 febbraio 2022), alle quali è stata rimessa dalla Sesta Sezione Civile.
Segnatamente, l’Organo di Nomofilachia è stato chiamato a pronunciarsi su due questioni di diritto, di particolare importanza, connesse:
la prima, avente ad oggetto la revocabilità dell’incasso rinveniente dalla realizzazione del bene costituito in pegno consolidato, con conseguente restituzione da parte del creditore pignoratizio della somma ricavata;
la seconda, consequenziale, afferente alla legittimità dell’ammissione del suo credito al passivo del fallimento, ai sensi dell’art. 70, commi 2, Legge Fall.
All’origine della controversia giurisprudenziale, vi è il ricorso per Cassazione, proposto avverso alla sentenza della Corte d’Appello di Messina, la quale aveva accolto la domanda di revocatoria, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 67, comma II, L. Fall. Di un pagamento, effettuato nel periodo (sei mesi antecedenti alla dichiarazione del fallimento) previsto ex lege.
Il ricorrente deduceva, nello specifico, l’impossibilità di procedere alla revocatoria fallimentare, trattandosi di pagamento effettuato per mezzo di risorse, ottenute con la cessione di un bene destinato al soddisfacimento dei diritti del creditore.
Nel dare risposta affermativa al primo quesito, con rigetto del ricorso, in parte qua, La Suprema Corte ha affermato che è sempre revocabile, ai sensi dell’art. 67, comma 2, L. Fall., il pagamento effettuato dal debitore, successivamente fallito, nel periodo contemplato dalla disposizione legislativa, ovvero entro sei mesi prima della dichiarazione di fallimento, qualora venga accertata la “Scientia decoctionis”, ovvero la conoscenza dello stato d’insolvenza, da parte del creditore.
Accertata la sussistenza dell’elemento psicologico, in capo al creditore, del tutto irrilevante, al fine di escludere la revocatoria fallimentare, risulta la circostanza che il pagamento in contestazione sia stato effettuato in adempimento di un credito assistito da garanzia reale, nonché di quella per cui l’importo versato derivi dalla vendita del bene oggetto di pegno.
Le Sezioni Unite, quindi, nel dare corretta interpretazione alla norma di riferimento (art. 67, comma II, L. Fall.), sostanzialmente, affermano la revocabilità dei pagamenti, degli atti di disposizione del patrimonio, a titolo oneroso e di quelli costitutivi di diritto di prelazione per debiti, a due condizioni:
La conoscenza, latere creditoris, dello stato d’insolvenza del debitore e l’esecuzione di uno dei predetti atti, entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
Non vi è spazio, nell’interpretazione della disposizione de quo, per limitare ulteriormente l’esperibilità dell’azione revocatoria fallimentare. Tuttavia, il principio della garanzia generica patrimoniale viene fatto salvo dall’Organo di Nomofilachia, nel dare risposta affermativa al secondo quesito giuridico summenzionato.
In particolare, i Giudici del Diritto hanno stabilito il principio secondo cui il creditore che ha subito la revocatoria ha diritto di insinuarsi al passivo del fallimento, con lo stesso privilegio di cui godeva prima del pagamento ricevuto, nel rispetto delle regole distributive di cui agli art. 111, 111 bis, 111 ter e 111 quater della Legge Fallimentare.
Se ne inferisce il postulato interpretativo per cui è legittima l’insinuazione al passivo del fallimento, da parte del creditore che abbia subito un’azione revocatoria fallimentare.
Tale insinuazione deve avvenire nel rispetto di criteri distributivi contemplati dalla Legge fallimentare, sulla base dei quali risulta lecito accordare al creditore, nel caso de quo, il medesimo privilegio che lo assisteva prima di ricevere il pagamento revocato.
La sentenza delle Sezioni Unite ha il pregio di ricondurre ad equità sostanziale le ragioni di tutela del debitore e del creditore, in sede fallimentare, rispettando la lettera delle disposizioni legislative di riferimento, senza manipolare il diritto e, tuttavia, risolvendo un annoso dibattito giurisprudenziale.
La revocatoria fallimentare, nel caso sottoposto all’ esame del Giudice del Diritto, non osta all’insinuazione al passivo del fallimento, né al mantenimento dei privilegi esistenti ante revocatoria, risultando, per contro, funzionale al rispetto di criteri di riparto, disciplinati dalla stessa Legge Fallimentare.
Ne emerge un sistema, quello del diritto fallimentare, perfettamente in armonia, sia al suo interno, laddove criteri e principi si sposano con strumenti e azioni tipiche (revocatoria), sia ex se, essendo in linea con le disposizioni del codice civile, poste a tutela della par condicio creditorum e della garanzia generica patrimoniale.
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