La generazione di “me me”, chi lo dice e perché. Il neologismo destinato a diventare di uso comune

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Ha 41 anni e prima di essere Presidente del Parlamento Europeo dice di sé di essere “mamma”. E non è solo un proclama, visto che è madre di quattro figli e ha un fisico bestiale. Nella forma ma anche nell’indole e nella testa. Roberta Metsola ha un curriculum che fa rabbrividire i suoi coetanei “né né”, quelli che si dedicano per scelta ad una certa inerzia. E cioè non vogliono né studiare né cercare lavoro, ma scelgono di adattarsi ad una sorta di stallo a casa di mamma e papà. Finché ci sono!

Roberta Metsola acuta come un segugio

A dispetto della giovane età, la leader del Parlamento UE che ha i natali nell’isola di Malta tiene testa a Fabio Fazio durante la sua presenza domenica sera a Che tempo che fa. E arriva anche a servire la palla alle novità della lingua italiana con la generazione di “me me”. L’abile giornalista e conduttore prova a tirarla per la giacca un paio di volte. Ma lei intuisce e non cede. Sul Governo Meloni e sul tema emigrazione non fa una piega, né mostra il fianco. Se ne esce con naturalezza con la diplomazia che si conviene.

La donna che si reca a Kiev prima di tutti

Da poco premiata dall’Osservatorio TuttiMedia nell’ambito del progetto “Donna è innovazione”, tanto per capirne la tempra, la Metsola è la prima donna che si reca a Kiev. Ancora prima di Ursula Von der Leyen, Presidente della Commissione Europea. Lo fa senza riflettori quando le bombe piovono a zonzo, la guerra è all’inizio e le intenzioni tattico-militari di Putin sono una grande incognita. Adesso la Metsola non fa sconti sulla questione dei diritti nel Qatar e da quel che dice non può certo dirsi si sia fatta impressionare dalle immagini della cerimonia inaugurale. Quelle in cui Morgan Freeman dialoga con un ragazzo disabile e a seguire il messaggio sul calcio che unisce. Contenuto nobile. Ma la questione in Qatar è un’altra e alla donna tutto pepe non sfugge.

Unità, dialogo e collaborazione tra Stati

Sempre più spesso, dice la Metsola in TV, vediamo la generazione di “me me” anziché noi. Il riferimento è alla domanda sulla sua assenza ai mondiali del Qatar, dove viene invitata ma non presenzia nessun appuntamento. Bene inteso, lo sport e il calcio sono cosa buona e giusta, ma sui diritti e le libertà individuali, della donna soprattutto, il Medio Oriente ha molti scheletri nell’armadio. E la Metsola non ci sta. Afferma: “Diamo per scontato la democrazia e la pace, ma in Iran stanno lottando per arrivarci. Non possiamo dimenticare e non possiamo non parlare delle donne coraggiose che lottano e noi dobbiamo essere accanto a queste donne”. Da qui il “noi” in luogo del “me”.

La generazione di “me me” dove l’interesse particolare prevale su quello comunitario

L’appellativo ci pare avere tutte le caratteristiche per potersi candidare a neologismo di uso comune. Oltre ai fatti del Qatar in tema di diritti, l’appellativo si cala benissimo con la dimensione individualista dell’essere umano. Spesso concentrato su sé stesso, incapace di porsi dinanzi all’altro con la predisposizione al dialogo, all’ascolto e alla ricerca del bene comune. Accade nelle dinamiche interpersonali e di riflesso a livello istituzionale per quei negoziati che tardano ad arrivare e quell’incapacità di discutere nell’ottica del “noi”.

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