La fenice turca, tra iperinflazione e nuovi attori geopolitici

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La nazione turca attende non senza apprensione le elezioni presidenziali del 14 maggio prossimo, una sfida tra il “Sultano” Erdogan, al potere ormai da vent’anni, ed il contendente Kilicdaroglu esponente di un eterogeneo cartello elettorale, conosciuto in gergo come il “Tavolo dei sei”, ma ufficialmente denominato Alleanza nazionale. 

Questa alleanza, di natura puramente elettorale, è espressione di un ventaglio politico che include il CHP, il Partito popolare repubblicano di Kilicdaroglu;  e il HDP, partito filocurdo; a fianco di movimenti politici di tendenza europeista, socialista e kemalista. Uno degli interrogativi che l’opinione pubblica turca si pone riguarda la tenuta di governo, nel caso di un’affermazione di questa multiforme compagine.

Infatti, se fino a qualche mese fa la rielezione di Erdogan veniva data per scontata, alcuni fattori stanno ora mettendo in seria discussione la sua vittoria elettorale: il primo riguarda le ripercussioni socioeconomiche seguite al devastante terremoto che ha colpito il paese nel febbraio scorso; il secondo ha invece a che fare con la spirale inflattiva che sta mettendo a dura prova la tenuta dell’economia turca.

Inflazione e attori gepolitici

L’Istituto di statistica turco ha riferito che l’inflazione ha toccato il massimo da 25 anni dell’85,5% nell’imminenza delle elezioni. Il tasso reale è probabilmente ancora più alto. Le banche d’affari USA stimano che l’inflazione annuale turca è in realtà al 176%. Erdogan è il principale responsabile della crisi inflattiva. Nel 2021 la Turchia ha avviato un ciclo di riduzione dei tassi di fronte all’impennata dell’inflazione, sfidando la politica monetaria tradizionale e scontrandosi con una tendenza globale all’aumento dei costi di finanziamento. La Banca centrale turca ha tagliato il suo tasso di riferimento di 500 punti base nel 2021 e poi di nuovo nel 2022, dopo le richieste di taglio dei tassi da parte di Erdogan. Insieme all’impennata dei prezzi dell’energia e dei generi alimentari provocata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, l’inflazione in Turchia ha contribuito a mettere l’economia in crisi.

La fenice turca, tra iperinflazione e nuovi attori geopolitici

Le implicazioni geopolitiche e geoeconomiche di un eventuale cambio della guardia alla guida della Repubblica di Turchia vanno ben oltre l’orizzonte nazionale della politica di Ankara. Le tendenze neo-kemaliste e pro-europeiste, nonché filoatlantiche, del Tavolo dei sei preluderebbero, in caso di affermazione elettorale, ad un riavvicinamento nei confronti degli USA nei teatri ucraino e siriano, riaprendo la partita relativa all’acquisto dei caccia F35 USA.

In Ucraina si potrebbe assistere ad un’attenuazione dell’ambigua politica di competizione cooperativa con la Russia di Vladimir Putin, su cui si sono finora fondate le relazioni russo-turche, anche se la dipendenza energetica turca da Mosca e l’attuale cooperazione sul nucleare impedirebbero comunque ad Ankara di imboccare una linea politica apertamente ostile alla Federazione russa.

Nel teatro siriano, invece, si andrebbe verso un allentamento delle tensioni alla frontiera tra i due Paesi dove attualmente vi sono scontri tra l’esercito turco e le milizie curde che, sul lato siriano sono tutt’ora appoggiate dagli Stati uniti. Vi è però da aggiungere che la questione curda è più ampia di quella relativa al solo confine tra Turchia e Siria ma, come noto si estende fin nel nord dell’Iraq ed arriva fino alla Repubblica islamica iraniana.

Politica estera

Vi sarà pertanto da capire se l’eventuale nuovo leader turco ricorrerà alla vecchia politica erdoganiana, da tempo abbandonata, detta “zero problemi con i vicini”, oppure proseguirà con l’attuale postura di Erdogan che mescola profondità strategica, lungo le direttrici terrestri in direzione delle aree turcofone post-sovietiche, con la dottrina marittima della “Patria blu”, che persegue la territorializzazione del mare per mezzo delle Zone economiche esclusive.

Proprio nel Mediterraneo, infatti, passano le linee di politica estera più delicate per Ankara che si muove secondo un doppio binario: continuando ad esercitare strategie di potenza  sia nei confronti dello Stato arcipelago greco, rivale storico nell’Egeo, che nel fondamentale teatro libico. Ma, nel contempo, coltivando tattiche di avvicinamento e disgelo nei confronti dell’Egitto e di Israele, per ragioni al momento eminentemente di carattere energetico. Nel Mediterraneo orientale da alcuni anni sono, infatti, operativi degli enormi giacimenti di gas sottomarino (come ad esempio il Leviathan) che stanno trasformando questo spazio marittimo in una zona strategica dal punto di vista geoeconomico.

Questo breve spaccato, che sottende uno scenario geopolitico molto più ampio, è solo un esempio di quanto potrebbe incidere un eventuale cambio della guardia nei palazzi del potere di Ankara; ma nella Turchia profonda Erdogan gode ancora di amplissimi consensi e non sarà facile liberarsi di lui per i suoi antagonisti politici, avendo “il Sultano” già dato numerose prove, in passato, di risorgere dalle proprie ceneri, come la leggendaria fenice, non araba, ma molto ottomana.

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