La contestazione della violazione costituisce causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa. Studiamo il caso.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 9723 del 14/04/2021, ha chiarito il trattamento sanzionatorio in caso di costi con società in paradisi fiscali. Nella specie, l’Agenzia delle Entrate ricorreva avverso sentenza della Commissione Tributaria Regionale nell’ambito di una controversia su sanzione per omessa indicazione di costi “black list”. L’Amministrazione finanziaria aveva irrogato la sanzione di euro 50.000,00 per l’omessa, separata, indicazione dei citati costi. Ma, secondo il giudice di appello, l’unica sanzione applicabile per tale violazione, di carattere meramente formale, era quella da euro 258,00 ad euro 2065,00.
E, in particolare, non si poteva applicare la sanzione proporzionale del 10%, da un minimo di euro 500,00 ad un massimo di euro 50.000,00. Tale sanzione, rilevava il giudice, si applicava infatti soltanto qualora l’impresa non avesse provato le circostanze che le consentivano di dedurre tali costi. Cosa, ad avviso della Commissione Tributaria Regionale, non avvenuta nel caso in esame. L’Agenzia proponeva ricorso, evidenziando che la dichiarazione integrativa per sanare l’omessa separata indicazione non poteva produrre alcun effetto se intervenuta successivamente alla contestazione della violazione.
La decisione
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Secondo la Suprema Corte il ricorso, nel caso in esame, era fondato. I giudici ricordano che si trattava di componenti negative inerenti operazioni commerciali intercorse con imprese aventi sede in Stati aventi regimi fiscali privilegiati. E che la contestazione della violazione costituisce causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa. Se fosse infatti possibile porre rimedio alle irregolarità anche dopo la contestazione, la correzione stessa si risolverebbe in uno strumento di elusione delle sanzioni. Il legislatore, rileva la Corte, ha stabilito, per la violazione in esame (omessa indicazione costi black), la sanzione amministrativa proporzionale (pari al 10% dei costi). E questo oltre alla sanzione fissa per le violazioni formali, che era stata ritenuta, invece erroneamente applicabile in via esclusiva dalla Commissione Tributaria Regionale.
Conclusioni
La deducibilità dei costi da operazioni con imprese in Stati aventi regimi fiscali privilegiati è condizionata alla prova che tali imprese svolgano un’attività commerciale effettiva. Ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico. L’indicazione dei costi da operazioni con paradisi fiscali non è comunque condizione di deducibilità, ma obbligo di carattere formale. E, almeno per le violazioni commesse prima del 10 gennaio 2016 (poi la normativa è ancora cambiata), si applicava sanzione proporzionale e sanzione fissa.