Usura legale ed usura in concreto. La Cassazione Penale afferma la natura mista del rapporto usurario.
Studiamo il caso.
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L’articolo 644 c.p. disciplina il reato di usura, che punisce chiunque, fuori dei casi previsti dall’art. 643 c.p., (rubricato “Circonvenzione di persone incapaci”), si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari.
Il terzo comma del citato art. 644 c.p. ha dato adito alla Magistratura di soffermarsi sulla natura mista del reato, sino ad affermare la configurabilità di un’usura “legale”, la cui esistenza si inferisce dalla lettera disposizione codicistica, a tenore della quale, appunto, “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”
Al riguardo, la Giurisprudenza ha fissato il limite, oltre il quale gli interessi risultano “ultra legali” e, in quanto tali usurari, nel “tasso soglia”.
Segnatamente, il Giudice è tenuto ad accertare motivatamente la natura usuraria degli interessi mediante specifico riferimento ai valori determinati dal Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze vigente all’epoca della pattuizione e da aumentare della metà, al fine di raggiungere il tasso soglia, ai sensi dell’art. 2 L. n. 108 1996. Allo stesso saggio si computano gli interessi convenzionali, ovvero pattuiti dalle parti, qualora non ne abbiano determinato la misura, ai sensi del secondo comma dell’art. 1284 c.c. “saggio degli interessi”.
Il terzo comma di quest’ultima disposizione precisa, inoltre, che gli interessi superiori alla misura legale, nel senso sopra precisato, sono dovuti nella misura legale, salvo che siano determinati per iscritto.
Il tema dell’usura legale, storicamente, è stato affrontato dalla Giurisprudenza, sia in sede civile, sia in sede penale, specie dall’Organo di Nomofilachia, soprattutto con riferimento ai contratti bancari. Sul punto, ormai consolidato è il principio giurisprudenziale secondo il quale: in relazione ai contratti di conto corrente stipulati con una banca, la natura usuraria del tasso d’interesse va verificata con riguardo al momento della pattuizione e nona quello della dazione, nel rispetto della lettera della disposizione di cui all’art. 1815 c.c.
Pertanto, ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., in combinato disposto con l’art. 644 c.p., si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito nella legge, al momento in cui sono promessi, o, comunque, convenuti, a qualunque titolo e quindi anche a titolo di interessi moratori.
La Cassazione penale afferma la natura mista del rapporto usurario, ma procediamo per gradi.
Se tale principio risulta pacifico in Giurisprudenza, non altrettanto è stato, sino alla storica pronuncia delle Sezioni Unite n. 19597 del 18.09.2020 , con riguardo al connesso tema del computo degli interessi moratori, di cui all’art. 1224 c.c., ai fini della valutazione della sussistenza del reato.
Segnatamente, la qauestio iuris sulla quale si è espresso l’Organo di Nomofilachia attiene alla rilevanza o meno degli interessi moratori (che decorrono a partire dalla “messa in mora del debitore”, ovvero causati dal ritardato pagamento delle obbligazioni pecuniarie) ex art. 1224 c.c. , ai fini del calcolo dell’usura.
In relazione ad ulteriore ma connesso profilo, essa attiene all’individuazione dei criteri sulla cui base parametrare il calcolo degli interessi corrispettivi e moratori, al medesimo fine.
La Cassazione penale afferma la natura mista del rapporto usurario
Sul tema si segnala una recente Ordinanza (N. 15505 del 16 Maggio 2022), pronunciata dalla III Sezione Civile della Cassazione Civile, in perfetta continuità con l’orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite, nel 2020. L’ordinanza conferma il principio di diritto per cui la valutazione dell’usura va parametrata non solo agli interessi corrispettivi, ma anche a quelli di mora. La pronuncia precisa, inoltre, che la valutazione degli interessi moratori non può essere effettuata con il tasso soglia utilizzato per la valutazione degli interessi corrispettivi, ma deve essere utilizzato un tasso soglia, che tenga conto del TEGM aumentato della maggioranza media degli interessi moratori, nella misura rilevata dai decreti ministeriali previsti dall’articolo 2, comma 1, L. 108/1996 e moltiplicato per il coefficiente in aumento e con l’aggiunta dei punti percentuali previsti, quale ulteriore margine di tolleranza, dal comma 4 dell’art. 2.
Qualora, a seguito dell’utilizzo di tale criterio di calcolo del tasso soglia, gli interessi moratori dovessero risultare usurari, gli stessi saranno dovuti nella misura degli interessi corrispettivi, secondo quanto previsto dalla lettera dell’articolo 1224, comma 1 c.c.
Per tale via, l’Ordinanza ha ritenuto fondato il ricorso incidentale della banca, nella misura in cui l’Istituto di credito ha dedotto che la valutazione, in ordine alla natura usuraria degli interessi moratori, andava effettuata rispetto ad un parametro diverso, da quello utilizzato per gli interessi corrispettivi e che tenesse in considerazione le maggiorazioni rilevate per gli interessi di mora.
Così ammessa la rilevanza di entrambi gli interessi, moratori e corrispettivi, ancorchè sulla base di parametri di valutazione diversi, ai fini della configurabilità del reato di usura, la Suprema Corte si è spinta oltre, sino ad affermare la natura mista del predetto reato.
In particolare, con la sentenza N. 19134 del 17 marzo 2022, la Sez. II della Cassazione Penale ha affermato il principio secondo cui, qualora concorrano ipotesi di usura legale (superamento del tasso di interesse soglia) e di usura in concreto ( dazione di un bene a fronte del prestito ottenuto), il Giudice non può valutare la sussistenza del reato nella seconda fattispecie, ovvero la sproporzione usuraria tra bene e denaro, applicando il parametro della prima ipotesi, attraverso la monetizzazione del bene e derivando da essa il superamento del 4 % dell’interesse legale sulla somma prestata.
Le conclusioni alle quali perviene il Giudice del diritto, muovono da un’interpretazione della disposizione di cui all’art. 644 c.p., che tipizza la fattispecie incriminatrice dell’usura, nelle sue diverse manifestazioni, dalle quali la Magistratura inferisce la natura mista del reato.
Segnatamente, la lettera della disposizione codicistica contempla l’usura “legale”, che si concretizza al superamento della soglia d’usura determinata dalla normativa secondaria. Fattispecie che, pur apparendo una contraddizione in termini, non potendo un reato essere qualificato come legale, mutua tale qualificazione dalla fonte, appunto, normativa, (secondaria), dalla quale deriva il superamento del tasso soglia, consentito ex lege.
Da tale fattispecie di usura, secondo la pronuncia della Cassazione penale, si distingue quella dell’usura “in concreto”, la quale si perfeziona allorquando vi sia una sproporzione tra le prestazioni, approfittando dello stato di difficoltà della vittima del reato.
Ne deriva il postulato della natura mista del rapporto usurario, in ragione del quale non è consentito di estendere i criteri impiegati nella valutazione dell’usura legale a quella in concreto.
Quest’ultima, secondo i Giudici del Diritto, deve essere valutata solo in relazione al possibile squilibrio tra la dazione di denaro e la controprestazione in natura.
Nel caso sottoposto all’esame della Suprema Corte, tale squilibrio è stato determinato impropriamente, attraverso l’adozione dei principi di valutazione dell’usura legale, ovvero mediante la “monetizzazione” della controprestazione in natura e la conseguente riconduzione alla nozione di interesse (proprio dell’usura legale) del plusvalore del materiale da costruzione fornito (sottocosto), come compenso per il denaro prestato.
Il rapporto usurario tra il ricorrente e la vittima del reato, sottoposto all’esame della Cassazione, infatti, era contraddistinto dalla presenza di due forme di usura concorrenti e integrate, ciascuna delle quali, tuttavia, avrebbe dovuto essere valutata in base a parametri diversi, in ragione della natura mista che contraddistingue l’usura.
Segnatamente, il rapporto usurario esaminato dalla Suprema Corte risultava così diversificato: scambio di assegni post datati ad un tasso pari al 4 mensile.
La liquidità procurata alla vittima veniva utilizzata sia per la propria attività d’impresa, sia per ripagare i debiti verso il ricorrente (usura legale). Nel caso di problemi di liquidità della vittima, veniva consegnato, come merce di scambio, del materiale da costruzione sottocosto (usura in concreto ex art. 644 c.p., terzo comma).
La sentenza in commento è di tipo manipolativo interpretativo, nonché creativo, nella misura in cui annette natura mista al reato di usura, “creando” la fattispecie del reato “in concreto”, muovendo dall’ interpretazione letterale della norma incriminatrice, ma plasmandola ai fatti concreti.
La motivazione della pronuncia si basa più che sulla sussunzione del fatto sottoposto all’esame nel diritto, sul percorso logico opposto: l’adattamento della lettera della norma al fatto.
Un approccio pragmatico, “all’anglosassone”, peraltro in linea con le affermazioni di diritto della Cassazione civile, a Sezioni Unite, nella misura in cui vengono utilizzati criteri distinti, in relazione alle diverse fattispecie di diritto in esame, tra di esse non escludenti ma concorrenti nella valutazione della sussistenza del reato.
Il reato di usura non sfugge all’evoluzione delle diverse modalità in cui può manifestarsi, mutando natura di volta in volta, nelle sue plurime tipizzazioni, che restano sussumibili nel topos contemplato dal codice penale.
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