Accade che la casa coniugale sia assegnata. Ma il figlio concretamente non ci sta. Abbiamo già detto che la casa coniugale viene assegnata al coniuge collocatario dei figli per rispondere ad un loro interesse. L’interesse a non essere allontanati dall’abitazione in cui hanno sempre vissuto ed in cui si sentono, appunto, a casa.
Per questo motivo l’assegnazione della casa al coniuge collocatario cessa quando i figli diventano autonomi e vanno a vivere per proprio conto. Tuttavia il figlio può anche trovarsi a vivere fuori dalla casa familiare per ragioni di studio o lavoro. Può ben trattarsi di situazioni temporanee. Allora è giusto conservare il provvedimento di assegnazione della casa coniugale? O deve prevalere il dato di fatto per cui il figlio non ha più quel legame fisso ed incrollabile con quella casa?
La casa coniugale assegnata ma il figlio non ci sta
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La Corte di Cassazione ha dovuto pronunciarsi su un caso simile con la sentenza n. 11844 del 6 maggio 2019.
Il figlio studente universitario fuori sede aveva preso casa con altri studenti. Faceva quindi ritorno nella casa familiare solo nei fine settimana.
I giudici esordiscono ricordando che l’assegnazione della casa familiare non ha affatto funzione assistenziale né contribuisce al mantenimento del coniuge separato. L’unico scopo dell’assegnazione della casa familiare è consentire ai figli di rimanere nello stesso ambiente cui sono abituati.
Se questo è lo scopo dell’assegnazione, un evidente presupposto è che poi il figlio trascorra la sua vita familiare all’interno di quell’abitazione. Certo nessuno gli vieta di trascorrere del tempo fuori casa per lo sport o le amicizie. Ma trasferirsi in una sede universitaria lontana e tornare all’abitazione familiare solo nel fine settimana dimostra un’altra cosa. Dimostra che il figlio è grande ed è quindi in grado di staccarsi anche per lunghi periodi dalla casa familiare senza subire traumi.
Se il figlio trascorre la maggior parte del tempo nella sede universitaria è venuto meno il carattere di prevalenza della casa familiare come dimora.
La Corte conclude addirittura che in quel caso è più corretto parlare di ospitalità nella casa familiare piuttosto che di convivenza con il genitore collocatario. La convivenza presupporrebbe esattamente il contrario: stabile dimora con il genitore collocatario e sporadico allontanamento per vacanze.