Sullo sfondo dell’accordo tra Iran e Arabia Saudita, realizzato sotto l’egida della nuova diplomazia di Pechino, si staglia l’ombra del gruppo dei Brics. Il blocco aspira ora ad un ordine monetario multipolare. La banca dei Brics cerca soci nel Golfo persico?
L’acronimo Brics, coniato dall’economista capo di Goldman Sachs Jim O’Neill nel 2009 per definire l’aggregazione informale tra Brasile, Russia, India e Cina, cui si è aggiunto in un secondo tempo il Sudafrica, nel corso del tempo si è costituito come una sorta di blocco alternativo al G7, dal punto di vista politico.
Negli ultimi anni poi, partendo dall’ambito più squisitamente geopolitico, il gruppo dei Brics ha iniziato a coltivare anche ambizioni di natura geo-economica, attraverso la costituzione della New Development Bank (NDB).
Tale istituzione finanziaria, più nota come “la banca dei Brics”, sembra volersi assumere un ruolo, alternativo, se non proprio oppositivo, rispetto all’attuale ordine economico globale, fondato su pilastri come la Banca mondiale ed il Fondo monetario internazionale.
La banca dei Brics cerca soci nel Golfo persico
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Essa è stata infatti creata nel 2015 con l’obiettivo di finanziare progetti di sviluppo nei paesi emergenti, utilizzando però la valuta locale dei paesi membri.
Nei suoi recenti sforzi per diventare attrattiva, soprattutto nei confronti di stati che non brillano certo per il rispetto dei principi liberal-democratici, la banca dei Brics ha rivolto la sua attenzione all’area del Golfo persico.
Tra i membri della NDB, che ha attualmente sede a Shangai, già figura, infatti, un paese del Golfo come gli Emirati arabi uniti che si va ad aggiungere ai 5 paesi Brics nonché all’Uruguay, all’Egitto ed al Bangladesh, nel comporre il board dei soci che detengono quote della banca.
Ma negli ultimi tempi si parla sempre più dell’Arabia saudita, il più grande esportatore di petrolio del pianeta, come possibile futuro stakeholder di questa istituzione finanziaria.
Scenari
Uno scenario che sembra essere caldeggiato soprattutto da parte della Repubblica popolare cinese che è, specularmente, il maggior importatore di idrocarburi del mondo.
La complementarità economica di questi due paesi salta senza dubbio all’occhio, soprattutto in un momento geopolitico nel quale la Russia, che detiene il 19% del capitale della New Development Bank, si trova sotto pesanti sanzioni occidentali.
Ecco, quindi, che la Cina si muove sul piano diplomatico sia per attrarre nuovi capitali per la banca dei Brics, che nell’ottica di accrescere l’utilizzo del renminbi come moneta di scambio globale, a scapito del dollaro.
Prova ne sia il recente accordo di riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita, svoltosi appunto sotto gli interessati auspici di Pechino che ha fortemente spinto per un riavvicinamento tra i due paesi, fino ad ora apertamente ostili.
Le ragioni di tali ostilità sono molteplici e restano ancora tutti sul terreno a dire il vero.
Si tratta infatti di due potenze regionali, l’una di matrice sciita, cioè l’Iran e l’altra di marca sunnita, vale a dire l’Arabia saudita, entrambe aspiranti ad un ruolo guida nel mondo islamico.
Inoltre, da diversi anni l’Iran appoggia nello Yemen, confinante con Ryadh, la rivolta di una fazione interna, quella degli houti che si è impossessata, armi in mano, di circa metà del paese e minaccia le installazioni petrolifere saudite con missili e droni forniti da Teheran.
Anche l’Iran, del resto sembra sia in lista per aderire in un prossimo futuro, al gruppo dei Brics insieme ad un nutrito gruppo di nazioni che include l’Argentina, il Bahrein, l’Algeria, l’Indonesia ed alcuni stati africani.
A fine maggio, la NDB ha tenuto la sua assemblea annuale. Nell’occasione, il Presidente della NDB Dilma Rousseff ha spiegato che l’obiettivo finale della banca è la de-dollarizzazione delle economie dei Paesi aderenti. L’obiettivo a breve termine è quello di offrire il 30% dei prestiti della NDB in valuta locale. Si tratterebbe di un aumento rispetto all’attuale tasso del 22%.
Il dollaro
Ad aprile, la Rousseff aveva annunciato per la prima volta che la NDB intendeva abbandonare il dollaro, impegnandosi a finanziare quasi un terzo del suo portafoglio prestiti nelle valute dei Paesi membri entro il 2026.
Diversificando l’uso delle valute, la NDB non solo cerca di indebolire la dipendenza del blocco dal dollaro, ma spera anche di aiutare i Paesi in via di sviluppo a evitare fluttuazioni dei tassi di cambio.
La New Development Bank ha già emesso obbligazioni denominate nella valuta cinese, il renminbi. Ma l’affidamento iniziale alla potenza economica cinese potrebbe rivelarsi un rimedio peggiore del male. Xi Jinping ha affermato che l’“era unipolare” dell’egemonia USA è finita ed è stata sostituita da un ordine “multipolare” basato sulla formula “un mondo, due sistemi”. Questo concetto ritorna dopo il passaggio di Hong Kong alla Cina nel 1997, per il quale Deng Xiaoping aveva coniato la formula “un Paese, due sistemi”. Si è visto com’è andata a finire.
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