Su Buenos Aires si è abbattuto un ciclone. Javier Melei, deputato al Parlamento federale e leader di La Libertad Avanza (La libertà avanza), la coalizione di destra, ha vinto le primarie che precedono le elezioni presidenziali in Argentina. Queste ultime si terranno il prossimo 22 ottobre ma sono tradizionalmente inaugurate con una sfida aperta che vede cimentarsi tutti i candidati in campo, per testare il gradimento dell’elettorato.
Sovvertite le previsioni della vigilia
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Di solito le primarie argentine vedevano prevalere uno dei leader espressi dai due più forti partiti dell’attuale sistema politico. I due partiti maggiori sono al momento Junctos por el Cambio, destra politica, e Union por la Patria, di ispirazione peronista. Stavolta è andata diversamente e l’outsider Melei ha incassato un risultato che è andato molto al di là delle aspettative pre-voto: un rotondo 30%.
Un leader di rottura
I media dell’establishment globalista hanno scelto un’ampia gamma di titoli per manifestare un preoccupato disprezzo di Milei. La Reuters ha titolato che Milei è un “candidato di destra radicale”; Time magazine lo ha definito “populista”; la CNN ha detto che è un “outsider”; l’Economist ha titolato “L’Argentina potrebbe avere il suo primo presidente libertario”; la BBC ha lanciato il peggior insulto possibile: “ammiratore di Trump”. Naturalmente, Milei non è nulla di questo. E’ un professore di economia devoto della Scuola Austriaca. La vittoria di Milei è la vittoria della vecchia coalizione “liberale classica”.
Milei ha sostenuto pubblicamente politiche dichiaratamente libertarie, in particolare per quanto riguarda l’economia. Ha promesso l’abolizione della Banca centrale argentina, si è impegnato a tagliare le tasse e la spesa pubblica, ha proposto una privatizzazione su larga scala delle imprese statali e ha promesso di rendere più facile per gli argentini possedere armi da fuoco, così come praticare la donazione di organi. L’autodefinito “anarco-capitalista” ha preso in prestito dal repertorio di Ronald Reagan, dichiarando che “lo Stato è la base di tutti i problemi”. Ha inoltre definito le leggi sul lavoro argentine un “cancro” che ingessa il mercato del lavoro provocando un alto tasso di disoccupazione e una bassa produttività. Ha poi spiegato che la lotta al cambiamento climatico è diventata uno strumento di sequestro della democrazia. Infine, ha detto che la sanità pubblica è un fallimento, impegnandosi ad abolire il relativo ministero, per passare ad un regime di privato-convenzionato modellato sull’eccellente sistema canadese.
La figura di Javier Melei si pone in antitesi al peronismo
Pertanto è un antipopulista. La sua piattaforma elettorale è piuttosto reminiscente dell’esperimento neoliberista del confinante Cile. Negli anni ‘70 e ‘80, i Chicago Boys hanno condotto la rivoluzione economica di più ampia portata nella storia del Cile. Le loro politiche pro-business hanno avuto un impatto travolgente che oggi si può notare in quasi tutti i settori della vita sociale: istruzione, assistenza sanitaria, sistema pensionistico e altro ancora. A conti fatti, la crescita economica del Cile è stata eccezionale: il PIL è passato da 14 miliardi di dollari nel 1977 a 247 miliardi di dollari nel 2017.
La dollarizzazione dell’Argentina
In una intervista al quotidiano spagnolo El Pais, Milei ha rilanciato il progetto di dollarizzazione dell’economia. Buenos Aires l’ha già sperimentata. Nel biennio ‘90-‘91 vennero intraprese iniziative significative per affrontare i rischi di insolvenza dei due colossi sudamericani (Argentina e Brasile): il vincolo monetario con gli USA e una maggiore integrazione economica tra i due paesi. Nel 1991 il Presidente argentino Menem introdusse nel proprio paese la parità fissa peso-dollaro USA (ley de convertibilidad) su suggerimento dell’allora Ministro dell’economia Domingo Cavallo, un geniale economista formatosi ad Harvard. Con il piano Cavallo, l’Argentina conobbe un periodo di stabilità finanziaria che fece gridare al miracolo economico. Purtroppo, senza alcuna riforma strutturale e senza un controllo della spesa pubblica, l’esperimento venne abbandonato e l’economia Argentina ha conosciuto in questi ultimi anni un lento quanto inesorabile declino.
Javier Melei appare determinato a ritentare senza ripetere gli errori del passato. L’Argentina è diventata il Paese più ricco del mondo quando non aveva una Banca Centrale. Dal 1880 al 1935, l’inflazione media è stata dello 0,9% all’anno. Nel 1935, la Banca Centrale fu da subito disfunzionale: l’inflazione salì così al 6% medio annuo. Più tardi, nel 1946, l’Argentina nazionalizzò la Banca Centrale. Fino al 1991, l’inflazione media era del 250% all’anno. Buenos Aires ha subito due periodi di iperinflazione quando non c’era nemmeno la guerra. Nel 1991 fu adottata la convertibilità, un sistema di tassi di cambio fissi (un peso valeva un dollaro). Essendo stabilito per legge, aveva maggiore credibilità. A partire dal 1993 per un periodo di alcuni anni, l’Argentina fu il Paese con la minore inflazione al mondo. È stato il programma di maggior successo nella storia dell’Argentina, fallito solo per inettitudine politica.
Javier Melei rappresenta una forte domanda di cambiamento
Se il 22 ottobre dovesse prevalere alle elezioni presidenziali, Buenos Aires cambierà rotta, abbandonando le recenti velleità terzo-mondiste con i piedi piantati nell’Occidente democratico e la bussola puntata in direzione Washington, DC.
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