A suo avviso, quali sviluppi possiamo attenderci, in relazione ai temi di attualità politica e finanziaria delle ultime settimane?
Sicuramente, un tema di particolare rilievo è quello relativo alle prospettive politiche, da cui dipendono anche il livello di fiducia dei mercati e l’andamento della borsa italiana.
A tale riguardo mi paiono confermate talune mie opinioni ed analisi, espresse in precedenti interviste.
Intanto, va sottolineato, a mio avviso, come l’istituzione delle commissioni di saggi da parte di Napoletano avesse non tanto un obiettivo realmente autonomo, quanto piuttosto quello di consentire a quest’ultimo di trattenere ulteriori contatti informali con i vari esponenti politici, ed a questi di chiarire meglio le proprie posizioni sia nell’ambito dei rispettivi partiti di appartenenza, che in relazione alle altre forze politiche.
Non a caso, mentre delle commissioni non abbiamo praticamente più sentito parlare, invece tiene banco l’incontro tra Bersani e Berlusconi, tenutosi ieri sera, e che pare l’unica vera novità di questi ultimi giorni.
Sotto il profilo economico la principale novità, almeno per l’italia, è invece la decisione di varare, infine, il decreto sullo smobilizzo dei crediti delle imprese verso la PA.
Ma a suo avviso, da chi o da che cosa dipende, a questo punto, lo sblocco della crisi politica?
Mi pare abbastanza evidente che dipenda, in misura fondamentale, proprio dalle posizioni assunte dal PD. Chiaramente un accordo è importante anche per la scelta del nuovo capo dello stato, ma non solo.
Il M5S ha oramai inequivocabilmente dimostrato di voler stare fuori dai giochi governativi, mentre il PDL ha invece assunto la posizione opposta.
Spetta quindi al PD decidere se addivenire ad un governo di larghe intese, oppure andare al voto. Da quanto è trapelato dall’incontro tra Bersani e Berlusconi, al momento pare che sulla formazione di un nuovo esecutivo le posizioni di Bersani siano sempre le stesse.
Sotto tale profilo mi pare, inoltre, che si stia assistendo ad una netta differenziazione di posizioni tra Bersani, e con lui, ovviamente, i seguaci del segretario, ed esponenti delle altre componenti del PD.
Dove andrà il PD?
Non è esclusa, alla prossima direzione nazionale, una frattura tra la corrente del segretario e la posizione di chi preferisce andare a scoprire la carte per un governo con PDL e montiani.
E, in questo caso, probabilmente si andrà presto ad un nuovo congresso, in cui difficilmente Bersani sarà riconfermato.
Appare infatti a molti esponenti del PD, oramai, come colui che non solo è stato sconfitto alle elezioni, su un’ipotesi di governo con il M5S o di non accordo con il PDL, ma anche come colui che si è fatto umiliare dai grillini, a meno di particolari novità, che personalmente non scorgo.
E quanto al decreto sui debiti della PA, cosa può dirci?
Leggendo diversi blog e commenti di vari analisti, mi pare che la materia, anche per intrinseche difficoltà tecniche, sia stata un po’ fraintesa.
E, tra questi fraintendimenti, ne vorrei citare soprattutto due:
il pensare, da parte di taluni, che costituisca una sorta di salvataggio, sotto falso nome, delle banche, e per altro verso, il non comprendere la dinamica del debito delle PA, e le problematiche di copertura in relazione alla normativa europea.
Ci può spiegare in cosa consistono questi tecnicismi e perché economia e mercati dovrebbero essere interessati a tale decreto?
Iniziando dalla parte finale della domanda, che poi costituisce la problematica di più facile comprensione, devo dire che si tratta, in buona sostanza, di cercare di immettere denaro nel sistema economico, con possibilità di ripercussioni positive per una possibile fase di rilancio, e con possibili risvolti positivi anche per il listino azionario.
Solo che questi soldi vanno ad un fondo gestito dalla cassa depositi e prestiti e solo le amministrazioni che seguiranno una complessa e farraginosa procedura, attiveranno il pagamento dei debiti dovuti alle imprese, peraltro senza che il decreto preveda obblighi in tal senso.
Personalmente, ritengo quindi che tutti questi effetti positivi verso il sistema economico non ci saranno, ma questo riconduce agli aspetti tecnici di cui alla prima parte della domanda.
E veniamo a questi.
Il motivo per cui parte cospicua dei crediti vantati verso la PA andrebbe alle banche, non dipende dal fatto che si voglia distogliere parte dei soldi spettanti alle aziende, per dirottarle sul sistema bancario, per evitare un tracollo di quest’ultimo, come qualcuno paventa, ma per motivi legali ben precisi.
In molti casi, le imprese si fanno anticipare, sotto forma di finanziamento, le somme costituite da crediti vantati verso debitori di varia natura, compresa la PA.
In taluni di questi casi, l’ente creditore si fa cedere il credito, divenendo quindi nuovo titolare del medesimo, e quindi l’azienda non è più creditrice del medesimo.
Altre volte, invece, la banca semplicemente anticipa, come forma di finanziamento, i soldi inerenti al credito, e quindi l’azienda, una volta ottenuta pari somma,dovrebbe comunque restituirla alla banca con gli interessi, e già questa realtà dimostra i motivi per cui una parte di quanto teoricamente spettante alle aziende, invece vada poi al sistema creditizio.
Visto che peraltro almeno negli anni precedenti l’inizio della crisi finanziaria, queste anticipazioni di credito rappresentavano la normalità, per la maggior parte delle aziende, ne consegue che solo in un numero residuo di casi l’impresa rimane direttamente titolare dei crediti.
Ma il motivo per cui è stata disposta l’istituzione di un fondo, è peraltro legato a precisi motivi di controllo dei flussi finanziari.
Infatti, si intende implementare una procedura di controllo dei debiti verso le imprese, che a livello centrale è possibile, in termini di soluzioni tecniche concretamente attuabili, solo con una richiesta di finanziamento verso il fondo centrale, cosa che diversamente lascerebbe alle amministrazioni locali un potere difficile da controllare, e quindi con rischio che i conti pubblici vadano fuori controllo.
L’errore è stato invece di chiedere alle imprese di essere in regola sotto certi aspetti finanziari, visto che l’assenza di tale elemento dipende principalmente proprio dal mancato pagamento dei debiti della PA.
E sul secondo punto tecnico rilevante, quello che si riferisce ai vincoli di bilancio da fiscal compact, cosa può dirci?
Sotto tale profilo, va richiamato il fatto che esiste una contabilità di questi debiti, in gran parte riconducibili ad enti locali, sulla quale si è posta la necessità di un raccordo rispetto alla contabilità tenuta a livello centrale.
Per quanto si cerchi di mettere ordine nella prima, parte significativa di detti debiti non è stata a suo tempo contabilizzata correttamente, o meglio lo è stata, ma secondo quelli che erano criteri e principi dettati dalla normativa in vigore all’epoca, ed è anche per questo motivo che si temeva, mettendo all’incasso tutti questi debiti, di sforare oltre misura il cosiddetto fiscal compact.
Ora, tramite l’implementazione di un sistema telematico, si è voluto creare un sistema di filtro, rispetto alle richieste provenienti da una pletora di enti pubblici, ed è questo che rappresenta, al tempo stesso, l’aspetto più problematico per ricevere i soldi.
Non tutte le PA sono collegate al sistema telematico in questione, né tutte le imprese sono “a posto” con gli indici di regolarità previsti, e proprio questo determina alcune gravi conseguenze.
Intanto, un’evidente disparità di trattamento tra imprese che rientrano in tali parametri e quelle che invece non vi rientrano, principalmente, come detto, proprio a causa di mancati pagamenti da parte della PA, quindi un cane che si morde la coda.
Non solo.
Dal momento che vi saranno PA che faranno certificare i propri debiti nel sistema del fondo, ed altre che rinunceranno a farlo, e questo sulla base della mera discrezionalità della singola amministrazione, si determinerà un’ingiustificata disparità di trattamento tra azienda ed azienda, per il solo fatto di essere creditrici di amministrazioni diverse, il che rappresenta peraltro un probabile profilo di incostituzionalità del decreto.
Ma perché, quindi, lei ritiene che l’imput potenzialmente favorevole all’economia dovrebbe essere inferiore al previsto?
Intanto per il semplice motivo che, per le ragioni che abbiamo visto sopra, una parte significativa di questi crediti aziendali, essendo stata anticipata da parte del sistema bancario nel corso del tempo, andrebbe non alle aziende, originarie creditrici, ma alle banche, le quali, a loro volta, per la nota avversione al rischio che in questa fase sta caratterizzando il sistema creditizio, difficilmente rimetterebbero in circolo tale quantità di denaro, eventualmente reimprestandone solo una certa percentuale.
E per altro vero perchè molte amministrazioni, che hanno si la possibilità, ma non l’obbligo di implementare la procedura, probabilmente non è detto che lo facciano, lasciando quindi i soldi nel fondo della cassa depostiti e prestiti.
Ma il culmine della crisi economica in atto, per quando è previsto per l’Italia?
Partiamo dalla constatazione che a luglio dello scorso anno è stato segnato, sull’indice italiano, un bottom particolarmente rilevante, in ottica di medio e lungo termine.
Tradizionalmente, il mercato azionario italiano anticipa le principali svolte del ciclo economico, rappresentato graficamente dall’andamento del PIL, di circa 6/9 mesi.
Ne consegue che il periodo di marzo/aprile dell’anno in corso era candidato proprio per un’importante svolta in tal senso.
Se peraltro osserviamo un grafico che rappresenta le variazioni percentuali del Pil italiano, su base trimestrale, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, osserviamo per la prima volta dal 2010 una risalita del grafico, da cui si potrebbe arguire che il minimo si sta raggiungendo nel trimestre in corso, proprio a circa 9 mesi di distanza, rispetto al minimo dell’indice FTSE MIB.
A livello tendenziale, quindi, è possibile che il minimo della fase economica sia stato già toccato, ma naturalmente occorreranno talune conferme, per considerare definitivamente superato il minimo dell’intera fase recessiva.
Infine, potrebbe dirci la sua opinione sulla situazione tecnica dell’indice FTSE MIB?
Va sottolineato, a tale riguardo, che la settimana in corso rappresenta un potenziale setup d’inversione rialzista, sul time frame settimanale, e quindi si possono prospettare due principali scenari, reciprocamente alternativi:
se effettivamente la settimana in corso assume una precisa configurazione rialzista, dovremmo aspettarci positività prospettica per almeno 3 settimane consecutive.
Tale circostanza determinerebbe una sostanziale inversione in forma di automodifica rialzista anche sul time frame mensile, e sarebbe quindi un segnale, statisticamente molto attendibile, che abbiamo toccato un minimo di medio periodo, nell’ambito di una configurazione riaccumulativa anche di lungo termine, da cui poi il trend dovrebbe proseguire con minimi crescenti in ottica di medio, ma anche di lungo e lunghissimo termine.
Qualora, invece, la settimana in corso continuasse ad assumere configurazione ribassista, sarebbe l’ennesima prosecuzione del trend ribassista intrapreso sui massimi di gennaio, e l’inversione rialzista sarebbe rinviata con ogni probabilità di alcune settimane.
Ovviamente, all’interno di ognuno di questi due scenari potrebbe comunque sempre intervenire, in base ai postulato del metodo Top or bottom, comunque un’ulteriore automodifica, che il metodo segnalerebbe prontamente, determinando una variazione del relativo frattale.