Ci sono almeno 2 proposte di modifica delle normative pensionistiche italiane che potrebbero davvero fare capolino nella Legge di bilancio di fine anno e riformare il sistema. Il fatto però è che si tratta di proposte che riscuotono già oggi poco appeal da parte delle persone interessate alle stesse riforme, cioè i lavoratori.
Le misure che si potrebbero materializzare nel 2023, infatti sono misure tampone. E la verità è che si tratta di misure che non migliorano di molto la situazione previdenziale nostrana, finendo con il gravare sui pensionati.
In pensione dai 63 anni o senza limiti di età ma a spese dei pensionati
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Rendere strutturale l’APE sociale potrebbe essere una soluzione valida, anche perché si tratta forse della principale misura che, in questi anni, ha consentito l’anticipo delle quiescenze. Con l’APE sociale, in questi anni, molti sono andati in pensione dai 63 anni di età.
È vero che la misura è priva di tredicesima, senza maggiorazioni e senza assegni familiari, e che non è neanche reversibile a causa di morte del beneficiario. Ma rivolgendosi ai lavori gravosi, agli invalidi, ai disoccupati ai caregiver, la misura ha interessato una vasta platea di persone, effettivamente in difficoltà.
Con l’APE sociale gli interessati hanno percepito un assegno per tutti gli anni mancanti dai 63 ai 67. Adesso si parla di renderla strutturale, cioè una misura fissa del sistema. Ma la misura sarà ritoccata, con l’inserimento di alcune penalizzazioni.
In primo luogo si pensa ad adeguare la misura all’aspettativa di vita degli italiani. In altri termini, si pensa di accorciare l’anticipo concesso con la misura avvicinandolo sempre più ai 67 anni. Anche con l’APE confermata, non potrebbero andare più in pensione dai 63 anni i lavoratori.
La Quota 41 per tutti, ecco perché potrebbe deludere le attese
La Quota 41 che oggi è destinata esclusivamente ai precoci, potrebbe diventare una misura utile a tutti i lavoratori. Infatti si chiama Quota 41 per tutti una delle ipotesi più attendibili per la riforma previdenziale del 2023. Ma sarebbe una misura piena di penalità, soprattutto a livello di calcolo dell’assegno.
Va ricordato che già oggi chi esce dal lavoro prima dei 67 anni di età, subisce un ricalcolo dei contributi versati in maniera penalizzante. Più giovani si lascia il lavoro, meno si prende di pensione perché il montante dei contributi versato è calcolato con dei coefficienti penalizzanti.
Ai coefficienti penalizzanti si devono aggiungere i circa 2 anni di carriera in meno rispetto ai 42 anni e 10 mesi della pensione anticipata ordinaria.
Un taglio che già così arriva, tutto compreso, a superare i 500 euro al mese.
Ciò che però potrebbe impattare in maniera negativa sui lavoratori è il calcolo contributivo, a cui dovrebbero essere assoggettati obbligatoriamente quanti sfrutteranno la Quota 41 per tutti. Parlando di carriere lunghe oltre 40 anni, è evidente che si tratta di lavoratori che hanno una grande fetta di carriera in epoca retributiva. E sono quelli più penalizzati da un calcolo della pensione che passerebbe dalla retribuzione percepita durante il lavoro, alla contribuzione versata.
In questo caso il taglio andrebbe ben oltre il 35% della pensione, come dimostrano le lavoratrici che hanno sfruttato il massimo anticipo con opzione donna. Soprattutto quanti hanno oltre 18 anni di contributi versati prima del 1996, subirebbero un taglio enorme di assegno in aggiunta alle penalizzazioni prima citate.
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