Illecito del finanziatore per concessione abusiva del credito a società in crisi

Corte di Cassazione

Illecito del finanziatore per concessione abusiva del credito a società in crisi. Legittimazione processuale del curatore fallimentare e concorso di responsabilità con gli Organi sociali. Studiamo il caso.

L’erogazione del credito, qualora effettuata a soggetto che versi in una palese situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi, con dolo o colpa, integra un illecito civile, essendo qualificabile come “Abusiva”.

La responsabilità civile del soggetto finanziatore, in tal caso, discende ipso iure dalla violazione dei suoi doveri di una prudente gestione, che obbliga il medesimo al risarcimento del danno, in favore dei soggetti lesi dall’aggravamento del dissesto aziendale.

Naturalmente, l’obbligazione risarcitoria è subordinata all’assolvimento dell’onere probatorio, avente ad oggetto la sussistenza del nesso di causalità rilevante agli effetti di cui all’art. 2043 c.c., ovvero di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano.

Al fine di stabilire, quindi, se il finanziatore sia civilmente responsabile verso i creditori della società, in dissesto, alla quale abbia erogato credito, occorre risolvere una questione giuridica di merito e due connesse problematiche di carattere strettamente processuale.

Sotto il primo profilo, il criterio a cui fare riferimento è quello dell’“assunzione del rischio ragionevole”, che ricorda quello “dell’accettazione del rischio”, di matrice penalistica, idoneo a connotare il dolo eventuale e a distinguerlo dalle altre fattispecie nelle quali si estrinseca l’elemento psicologico del reato.

Illecito del finanziatore per concessione abusiva del credito a società in crisi

Segnatamente, la banca che abbia concesso credito a soggetto versante in una situazione di crisi finanziaria, ancorchè al di fuori di una formale procedura di risoluzione della crisi da sovraindebitamento, può andare esente da responsabilità, qualora provi di aver assunto un rischio “non irragionevole”.

L’assolvimento del predetto onere probatorio, in sede giudiziale, presuppone una valutazione “ex ante”, in ordine all’intenzione dell’Istituto finanziario di concedere credito ad un’azienda suscettibile di superare lo stato di crisi e/o indebitamento e di permanere sul mercato.

Giudizio di prognosi postuma che deve necessariamente basarsi su documenti, dati e notizie acquisite, da cui sia stata in buona fede desunta la volontà e la concreta possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito concesso a scopi di risanamento aziendale.

Al riguardo, degno di nota è il richiamo ad un criterio di ragionevolezza, che vale a connotare la soglia del rischio tollerabile assunto dal soggetto finanziatore e a conformare il sindacato dell’Autorità Giudicante.

Il che apre uno spiraglio significativo, verso la concessione del credito ad aziende in difficoltà economico-finanziaria, ben al di là degli stretti confini che connotano le policy bancarie ed in armonia con gli strumenti di risoluzione della crisi da sovraindebitamento, apprestati dal Nuovo Codice della Crisi d’Impresa.

In questa direzione si colloca una recente pronuncia della Suprema Corte, (cfr. Cass. Civ.   Sez. I, 30.06.2021, n. 18610), la quale ha risolto anche gli aspetti processuali della questione.

In particolare, i Giudici del diritto, hanno affermato che il curatore fallimentare può agire in giudizio contro la banca, per la concessione abusiva del credito, che abbia cagionato una diminuzione del patrimonio del soggetto fallito, per il danno diretto all’impresa conseguente all’erogazione del finanziamento e per il pregiudizio causato ai creditori, a causa della perdita della garanzia generica patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c.

In relazione ad ulteriore ma connesso profilo, la responsabilità in capo all’istituto di credito può sussistere anche in concorso con quella degli altri organi sociali, ai sensi dell’art. 146 L. Fall., in via di solidarietà passiva, ex art. 2055 c.c..

Ciò, peraltro, senza che sia necessario l’esercizio congiunto delle azioni verso gli Organi sociali e verso il finanziatore, trattandosi di mero litisconsorzio facoltativo.

In ogni caso, l’istituto finanziatore, non può essere ritenuto civilmente responsabile del danno arrecato ai creditori della società beneficiaria del prestito, qualora sia accertato che abbia seguito una scelta di ragionevolezza, rispetto all’utilizzo dell’importo erogato per scopi idonei, secondo un giudizio “ex ante”, a scongiurare il dissesto aziendale.

La sentenza in commento apre la strada alla concessione del credito alle imprese in difficoltà, in stato di insolvenza, o in una comprovata crisi aziendale, sia nell’ambito di procedure sul sovraindebitamento, avviate da Organismi competenti a tal uopo, sia al di fuori ed indipendentemente da esse.

Appare quindi legittima la domanda: “la legislazione e l’elaborazione giurisprudenziale post Covid consentono di ritenere superato l’automatismo per cui, nel settore dell’erogazione dl credito, i soldi vanno solo dove già ci sono?”

Ed ancora: “La normativa e l’interpretazione ermeneutica   degli ultimi tempi, legata al superamento dell’emergenza epidemiologica in atto, certamente favorevole alle ragioni dei debitori, non rischia di compromettere quelle del ceto creditorio?”

Sembra che la risposta riposi su un criterio di ragionevolezza, nella logica del “più probabile che non”, cui si ispira il nostro sistema processuale civilistico.

 

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