Può capitare davvero a tutti di ammalarsi. Un’influenza, un raffreddore, o anche situazioni patologiche più gravi potrebbero impedire al dipendente di recarsi al lavoro. Per questo la legge prevede dei giorni di malattia, giorni in cui il lavoratore rimane a casa per curarsi, ma percepisce lo stipendio. Questo è un diritto davvero molto importante e ha costituito una grande conquistata per i lavoratori. Tale diritto va, però, utilizzato secondo le regole e in buona fede, altrimenti si presta a facili abusi.
La legge, infatti, prevede tutta una procedura perché il dipendente possa andare in malattia. Se si ammala, il lavoratore deve ottenere un certificato medico dal Servizio Sanitario Nazionale. Il certificato medico deve indicare la tipologia di malattia e la prognosi, cioè la durata presunta della malattia. Si tratta, però, di una previsione astratta che si basa sulla durata media di quella malattia, non è un dato necessariamente certo.
Le questioni nei giorni di malattia
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Ad ogni modo, ottenuto il certificato, il dipendente deve comunicare che non si presenterà al lavoro all’INPS e al suo datore. Dunque, il valore del certificato medico in questi casi gioca sicuramente un ruolo di primo piano. Tra le questioni di cui più spesso si discute, riguardo i lavoratori in malattia, ci sono sicuramente le visite fiscali. Infatti, datore di lavoro e INPS hanno il diritto di inviare dei controlli, al domicilio del dipendente, per accertarsi del suo stato di salute. Si sono poste moltissime questioni riguardo le viste fiscali.
Ad esempio, si è discusso di cosa succeda se il dipendente si trovi sotto la doccia mentre suoni il campanello per la vista fiscale, e per questo non lo senta. Oppure ancora, del caso di un lavoratore che rendeva molto difficile per i medici di controllo giungere al suo domicilio. La Cassazione, con una sentenza del 2017, si è pronunciata su una questione interessante.
Il valore del certificato medico nei giorni di malattia
Si trattava del caso di un lavoratore che forniva al proprio datore un certificato medico, che indicava la durata della malattia in 1 giorno. Mentre, poi, rimaneva a casa per 3 giorni interi. Il suo datore, quindi, lo licenziava per avere violate le norme riguardanti i giorni di malattia. La Cassazione ha, però, annullato il licenziamento ritenendolo sproporzionato ed eccessivo. Infatti, come prima visto, la prognosi nel certifico medico è solo una stima della durata della malattia.
È ben possibile che si abbia un certificato di un solo giorno, mentre la malattia, poi, prosegua per altri due. La Cassazione ha spiegato che bisogna guardare al caso concreto e al comportamento delle parti. Se il dipendente si è attivato per far conoscere il suo stato al proprio capo, pur in malattia, non è licenziabile.
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